L’atletica è entrata in un gorgo che la risucchia da anni sempre più in basso: non ci sono grandi personaggi che attirano i giovani nei campi attrezzati (pochi per la verità), e i grandi personaggi non ci sono appunto perché i giovani, almeno da un paio di decenni, non si sono appassionati, e senza la base larga, si sa, è impossibile, o comunque molto difficile, ambire ad avere punte di eccellenza mondiale; insomma è una spirale, un cerchio maledetto difficile da interrompere.
Dice bene Gennaro Di Napoli, uno che ha deciso di dimenticare l’atletica perché l’atletica si è dimenticata di lui, come chi dimentica una amante che lo ha lasciato e che forse nemmeno meritava di essere amata.
Di Napoli, quando può, grida che l’Atletica è figa, se la fai fatta bene, se la fai ad alti livelli, se la fai come l’ha fatta lui e tanti altri del suo tempo, quando un Campionato italiano di campestre poteva essere difficile da vincere, difficile almeno quanto vincere un Campionato europeo, quando soldi e interessi giravano davvero attorno al Circo mondiale dell’atletica in pista; lui che faceva sfilate di moda, spot pubblicitari, perché anche questo è un punto centrale: oggi gli sponsor vogliono soprattutto atleti forti su strada, maratoneti da poco più di centoventi minuti o mezzi maratoneti under sessanta minuti.
Comunque strada, lì arrivano i soldi, sempre meno di quelli meritati, rimane uno sport essenzialmente povero.
Certo, tutti noi rimestiamo le vecchie ricette, a disco incagliato, i Giochi della Gioventù, l’atletica nelle scuole, l’antico adagio, feticcio, l’oracolo che dovrebbe risolvere magicamente ogni tribolazione, ma il mondo attorno è cambiato velocissimamente, e non è tutta lì oggi la soluzione.
Nel nuoto prendono medaglie a raffica gli italiani: forse che il proffe precario di educazione fisica porta in piscina i ragazzini? Non credo.
Una figura che risplende di luce eterna, una madonna bionda vincente come Federica Pellegrini, spiega tutto? È lei che ha portato tanti ragazzini in piscina? Perché la corsa sembra attirare solo ex sedentari over quaranta e non accende le fantasie dei ragazzini?
Perché anche dopo il trionfo maestoso di Stefano Baldini la corsa lunga nel nostro paese ha continuato la sua deriva tecnica? Una finale olimpica dei cento metri con uno o due italiani in finale potrebbe risollevare le sorti che sembrano segnate?
Stefano Mei è il nuovo che avanza e che risolverà di botto problemi ormai storici? Mi vengono in mente solo domande. Zero risposte.
Come al solito sono fatalista e apocalittico e ringrazio di non essere stato eletto Presidente della Federazione italiana di Atletica leggera, tali e tanti sono i problemi che la affliggono questa Regina degli sport olimpici nel nostro Paese; eppure scrivo questo pezzo ancora sull’onda emotiva di qualcosa che ho visto venerdì 2 aprile 2021 alla pista del Campo scuola di Ferrara: per la prima volta nella mia vita ho visto da vicino l’allenamento di un atleta di livello molto alto vissuto in simbiosi con il suo tecnico personale.
Tre volte i tremila metri con tre minuti di recupero tra uno e l’altro, e un mille finale dopo quattro minuti di recupero con tempi che danno una proiezione finale per un diecimila metri sotto i ventotto minuti. E sono ancora elettrizzato da questa visione.
La visione di un atleta da vicino, frase che mi ricorda un audace passo di Elio e storie tese. D’altra parte mi piace molto quando, durante le grandi manifestazioni mondiali, una telecamera inquadra il campo di riscaldamento, il dietro le quinte del grande spettacolo della gara.
Tornado a Ferrara, osservavo rapito questo metronomo perfetto da 1’07 a giro in completo controllo; quando la corsa è così facile i giri si susseguono ipnotici.
Ascoltavo i consigli del tecnico tra una prova e l’altra, soprattutto riguardo l’approccio mentale, le difficoltà da superare in quella giornata improvvisamente calda, nessun aiuto, tutto da costruire da solo, senza nessuno ad accompagnarlo in bicicletta, e poi l’occhio mi andava altrove e una domanda mi esplodeva nel cervello: i ragazzini che si stavano allenando, per lo più Ragazzi, Cadetti e forse Allievi, stavano capendo quello che succedeva in prima corsia?
In realtà solo i loro allenatori e un paio di amatori osservavano rapiti quei piedi incredibilmente rimbalzanti. Che il nostro sport sia diventato troppo complicato per tempi così superficiali? Ma forse ero distratto, forse qualche ragazzino ha capito la grandezza di quel gesto in prima corsia, forse qualcuno ha staccato lo sguardo dal cellulare e ha sentito quel brivido, e fra qualche anno sarà lui a chiedere libera la prima corsia.
Auguri a Iliass Aouani (l’atleta in prima corsia), auguri a Massimo Magnani (il tecnico), auguri ai ragazzini del Campo scuola.
Che possano capire la bellezza di quello che stanno facendo.
Saverio Fattori