In difesa dei Runner

La fase 2 è iniziata e molti runner, in questi giorni, sono tornati a correre.

Dal 9 Marzo non è stato più possibile infilare le scarpe da corsa e uscire di casa, pioggia o sole, a svolgere i propri allenamenti, corse lunghe, ripetute, fartlek e quant’altro.

Le disposizioni che hanno sancito il divieto di correre sono state molteplici, e si sono distinte per una mancanza di chiarezza e di immediatezza interpretativa che ha lasciato uno spazio applicativo inaspettato ed incoerente, nella rigidità di una quarantena che non ha avuto pari nel resto del mondo.

Senza ripercorrere i dati giuridici, per non annoiare un lettore che di tecnica legale non ne vorrà sapere, richiamando solo alcuni esempi, rammento la difficoltà iniziale nell’individuare all’interno del divieto di spostamento, il divieto di correre, o meglio di fare running, e cioè di spostarsi da un comune all’altro come spesso accade a noi runner, correndo distanze superiori a 7, 8 o 10 km.

Ricordo le problematicità sollevate nell’interpretare concetti come attività motoria, che nulla hanno a che fare con gli allenamenti tipici di chi partecipa alle gare podistiche di ogni tipo. Ancora, menziono qui, le vaghe possibilità legate al concetto di prossimità, causa primaria di numerosi dubbi sollevati sulla imposizione effettiva di un divieto di correre che, invece, esisteva eccome e andava rispettato.

Infine, proprio in questi giorni la confusione ha regnato sovrana sull’obbligo delle mascherine, sui giorni in cui si poteva iniziare a correre nelle diverse regioni, sui divieti ancora esistenti da quando e perché (tanto più che “Correre” ha dovuto dedicare un intero articolo solo a questo tema: leggilo qui

Le scelte normative, in questo contesto solo sommariamente richiamate, hanno evidenziato come il legislatore non abbia avuto alcuna contezza del significato proprio della parola running, di come l’abbia confuso con il footing o lo jogging, credendo che esista un unico concetto del correre.

Al legislatore è completamente sfuggito che il runner medio non è uno che non corre dalle elementari (citando Gabriele Moretti , di cui sposo in pieno il grido di dolore) ma è in realtà un atleta amatoriale che nella maggior parte dei casi ha fatto dell’attività podistica il suo stile di vita, tenendosi in forma e in salute.

Quindi, il legislatore è stato quantomeno maldestro ma la vera domanda è: perché? Perché lo è stato?

Perché ha lasciato di fatto che la situazione restasse poco chiara?

Perché ha permesso che nelle maglie di un divieto che ha dovuto essere spiegato in continuazione, fino a non poterne più, si tollerassero comportamenti ingiustificabili, tenuti sia da chi ignorava deliberatamente la quarantena (addirittura correndo con positività al COVID 19 ) sia da chi manifestava con violenza il proprio odio verso una categoria che non meritava affatto di essere tacciata come “untore” del secolo, insieme purtroppo a molte altre (ma questa è un’altra storia!).

Forse, il divieto di correre non ha avuto alcun senso? Forse non doveva essere imposto? Forse non avrebbe avuto alcun impatto sull’operazione di contenimento del contagio?

Rammento che in altri Paesi, sin dall’inizio, la corsa è stata premiata perché ha di fatto rappresentato l’unica possibilità di sport che poteva essere praticato! Come se non bastasse, ci sono stati luoghi in cui intere strade, in città deserte, sono state dedicate al running!

Le soluzioni potevano essere mille: le fasce orarie, le zone geografiche distinte, la solitudine nell’allenamento che tutti i runner conoscono a menadito. Forse non c’era alcun motivo di proibirla, bastava imporre limiti chiari ed effettuare i controlli dovuti. Del resto, ancora adesso non riesco proprio a capacitarmi di come un runner che corre alle 5.00 del mattino, da solo, possa essere contagioso…

E quindi eccolo l’espediente, mi duole dire, “all’italiana”: vietiamo, ma non troppo… lasciamo che i margini del no siano fumosi, sacrifichiamo la certezza di un diritto che dovrebbe, invece, essere granitico tanto da assicurare a tutti le garanzie dovute, per chi corre e per chi no, e ad evitare che si creino guerre sociali tra quelli che da sempre sono in finestra e quelli che da sempre sono per strada a correre.

Chiudo questo doloroso pezzo, rammentando che ho scelto di non correre, di rinunciare alla corsa per rispettare il divieto, perché le norme non corrette si combattono in questo modo: le si rispetta e quindi le si contesta. Qualunque violazione inusitata delle stesse, reca la perdita di ogni diritto di contestazione.

Per tale ragione ho spiegato fino alla fatica più estrema perché esisteva un divieto e come doveva essere letta la norma, suscitando a volte anche reazioni di stizza, a difesa di un ordinamento che non ha saputo rispondere in maniera adeguata al mondo del running, ma soprattutto a molti altri mondi, sospesi in un limbo incomprensibile e non del tutto giustificabile.

Per questo ancora una volta, oggi, invito i miei cari amici runner, in una piena condivisione dello stato di frustrazione in cui giacciono da tempo, a correre da soli e nel rispetto delle regole, in attesa che l’organo preposto all’adozione delle norme, il nostro Parlamento, metta mano allo “Stato di Quarantena” che ora più che mai necessita di una piena regolamentazione, prima ancora del running…

Buona vita

Chiara Agata Scardaci

(Potete contattarmi sulla pagina https://www.facebook.com/StudiolegaleVerdediritto/ per spiegazioni puntuali.

Intanto ricordo l’articolo già pubblicato da storiecorrenti

https://storiecorrenti.com/corsa-e-coronavirus-dialogo-con-mia-figlia-sulla-possibilita-di-correre/

Chiara Agata Scardaci