Se fosse una favola giuro non ci crederei..
Ho iniziato per gioco, quasi per scherzo. Era una scommessa tra amici, giocavamo per strada, non avevamo niente solo tanti sogni belli, un paio di scarpe scambiate tra fratelli, magliette e jeans, i primi, quelli che se li indossavi era già un lusso…
Anni Settanta.
Erano gli anni in cui, se avevi un televisore coi valvoloni in bianco e nero a casa, eri considerato ricco, dove il telecomando era magari tuo fratello quando non ti andava di alzarti e gli chiedevi di girare canale, ma c’erano solo Rai Uno e Rai Due.
Il carosello ci teneva incollati a suon di spot pubblicitari che le battute alla fine le sapevi a memoria, ed esisteva solo mamma Rai, unica emittente televisiva e radiofonica…
Erano gli anni in cui sognavi l’America con la speranza di rivedere i parenti emigrati, ma avevi pochi spicci in tasca e al massimo potevi comprarci Topolino per continuare a sognare…
Le uniche corse che facevamo erano quelle appresso ai tram a Roma, quelli c’erano e correvamo così veloci che per non pagare il biglietto spesso ci attaccavamo dietro e ridevamo come pazzi…
Ma siamo cresciuti insieme, abbiamo raccolto i sogni che avevamo e abbiamo iniziato a correre, sempre per gioco, nella villa sotto casa, Villa Gordiani…
Desiderosi di superare noi stessi abbiamo continuato e, tra sfottò e scommesse, ci siamo iscritti a qualche garetta in giro per Roma…
Qualche piatto, coppa e prosciutto a casa lo riportavamo sempre…
Non avevamo manuali da seguire, se non qualche amico pazzo che tutte le domeniche scommetteva dalle scarpe alla pensione della nonna e noi, ridendo, lo seguivamo…
Nessuno ci ha mai insegnato ad allacciarci le scarpe, lo abbiamo fatto da soli, a volte inciampando sui lacci lenti, a volte fieri del doppio nodo che avevamo finalmente imparato a stringere con sicurezza…
Erano gli anni in cui il meteo te lo diceva Bernacca in bianco e nero e Dio solo sa quante corse abbiamo fatto sotto l’acqua nonostante ce l’avesse detto lui con la sua bacchetta indicandoci il punto esatto…
Noi che correvamo per attraversare il tempo, correndoci dentro e non rincorrendolo, che poi alla fine il vero scopo era superare noi stessi, ci ridevamo sopra sfidandoci e aspettando la prossima…
Se me lo avessero detto non ci avrei creduto, perché correre per me ormai significava resistere.
Avevo imparato bene a spingermi oltre il limite, ad andare avanti perfino quando il fisico stremato mi imponeva di fermarmi: non si trattava semplicemente di una questione di allenamento, ma di sana disposizione mentale.
Il trucco era semplice, ogni volta pensare di poterci riuscire ed ogni volta obbligarsi a compiere lo sforzo che lentamente, falcata dopo falcata, non appariva più tale.
Iniziare per gioco e non riuscire a smettere più…