Più passano gli anni e certe abitudini del nostro mondo podistico si consolidano e si rafforzano.
Il tutto avviene all’interno di una comunità di podisti amatoriali orfani di uno spirito decubertiano, dove l’importante è apparire e non partecipare.
Oggi siamo spinti da un bisogno di visibilità e sano egocentrismo da cui scaturisce un’inflazione di atleti “top, magnifici, fantastici, eccezionali, eroici” parole diventate parte di una melassa pastosa e scomoda settimana dopo settimana.
In ogni squadra che si rispetti ce n’è uno e alcune fortunate ne hanno anche più di uno.
Parliamoci chiaro, non serve aver salvato vite umane, trovato rimedi contro malattie gravi per salire sull’Olimpo degli dei settimanali.
Basta aver partecipato a gare dalla lunghezza considerata fuori dall’ordinario, anche se correndo metà del percorso, oppure arrivando poco prima del limite di tempo massimo, ammesso che ci sia.
Prestazione corredata da fotocronaca di ogni fase di avvicinamento al traguardo, abilmente postata su tutti i social network.
Creare l’eroe della porta accanto, armato di garmin e canotta ci aiuta, salva e genera una palese giustificazione alle nostre indolenze agonistiche.
“Non riesco a farlo”
“Ma lui lo fa”
“Si ma lui è un eroe”.
Quante volte ci sentiamo dire “sei uscito a correre con questo tempo da lupi? Sei un vero eroe”
Uso smodato di un gergo che è più da fumetto che da mitologia greca.
L’eroe è colui che, di propria iniziativa e libero da qualsiasi vincolo, compie uno straordinario e generoso atto di coraggio, che comporti o possa comportare il consapevole sacrificio di sé stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune.
Allora siete ancora sicuri che io sia un eroe e non qualcosa di diverso, magari sto solo soddisfacendo un mio bisogno?
L’eroe non fa rumore, e capita di esserlo poche volte nella vita, per fortuna….
“We can be heroes, just for one day”
Buone corse amici