Quello che vedo dentro casa

In questo dialogo mattutino alla finestra ho avuto modo di riflettere su quanto sta accadendo lì fuori.

Mentre ero intento a seguire la città ho perso di vista alcune dinamiche dentro casa.

È un atteggiamento che abbiamo avuto spesso in passato, e che ci ha portati a non capire, a non ascoltare, a sottovalutare segnali, confessioni, speranze dei nostri figli.

Perché avevamo decine di scuse: la fretta, il lavoro, le incombenze di giornate sempre troppo brevi.

Così il tempo ci scorreva accanto e le relazioni si perdevano sotto uno strato di giorni che giravano tutti uguali, più di oggi.

Dopo oltre 40 giorni di isolamento, parola per altro da riconsiderare e tra breve capiremo perché, una famiglia ha saputo adattarsi e guardarsi dentro meglio di prima.

L’amica Martina Chiarani, attenta osservatrice del mondo che ci circonda, in un suo post ha scritto.

“Noi adulti sempre a correre tra casa, scuola, lavoro, appuntamenti, scadenze. A parte le due settimane estive di vacanza, si può dire che è la prima volta che stiamo tutti insieme per un periodo così lungo. A me non sembra mica normale che ci voglia un virus letale per riunire una famiglia. Tra il resto ci stiamo pure simpatici!”

Alla luce di queste considerazioni c’è un tema ricorrente tra gli adolescenti e i genitori che è esploso nella sua evidente schiettezza e che parte dalla frase che ha detto Giulia in casa in queste settimane di quarantena:

“io così sto bene, ho tutto quello che mi serve”

I ragazzi, e in particolare coloro che stanno vivendo la scuola come rifugio e nutrimento, hanno scoperto un nuovo modo di viverla, grazie e soprattutto alla possibilità di farlo con gli strumenti che usano per interagire tra di loro quotidianamente.

Un discorso a parte meriterebbe l’atteggiamento di Riccardo, 14 anni, distratto da tutto e da niente, in continua crisi di identità adolescenziale ed evolutiva tra il vorrei fare e non ho voglia di nulla…

3 anni di differenza e l’essere una ragazza sono una distanza temporale enorme tra i due.

“Io a parte la mancanza della piscina ho tutto”  – prosegue mia figlia – “Studio tutto il giorno, sono piena di compiti da fare anche nel week end, mi alleno con le compagne di nuoto seguite dalla coach, parlo con i miei amici e ho la lettura e le serie tv nel tempo libero”

Come sarebbe stata la stessa situazione nel 1987?

Un lockdown vissuto oggi da parte di coloro che hanno già molte delle loro relazioni in un mezzo di comunicazione è meno pesante di quella di un tempo?

Il senso di responsabilità verso l’esterno è più sentito da parte loro e quindi rispettato il divieto di uscire o semplicemente continuano a fare ciò che da sempre hanno avuto modo di fare, ovvero di tenere dei rapporti filtrati dai social network con storie, dirette, post e in chat?

Voglio credere che questo esperimento familiare possa servire a noi adulti per capire e scoltare soprattutto i nostri figli.

Nonostante tutto, un giorno, potremmo essere più comprensivi e vicini alle “distanze sociali” di figli adolescenti che sono esattamente come eravamo noi alla loro età: bisognosi di crescere e nel contempo impauriti di scontrarci con altri come noi.

Buona giornata

Marco

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso