Sbatte piano la porta di casa al mattino. Le porte dell’ascensore si chiudono con un rumore stridulo.
Esco in strada e muovo i primi passi di corsa. Sembro un cancello arrugginito. Piano piano le gambe cominciano a girare, ci vuole circa un km ma comincio a sentirle reattive.
Il respiro si fa affannoso, ma poi si abitua anche lui. Sembro un aereo che prende quota fino alla velocità di crociera. È in quel momento, quando raggiungo la confort zone che si liberano milioni di palloncini e la mia mente comincia a viaggiare da sola.
Non sento più niente. Suoni, odori, traffico sembrano restare indietro, come i parenti a terra che salutano con la mano, mentre tu guardi il cielo e vai sempre più in alto.
Partono i pensieri. Viaggiano in mondi curiosi e contorti, influenzati da quello che ascolto, dalle serie che guardo in tv, raramente dai miei problemi che devo lasciare a terra altrimenti sarebbero una inutile zavorra.
Pochi giorni fa pensavo al circo.
Non lo amo particolarmente, tuttavia mi affascina l’idea di una vita un po’ nomade tra acrobazie, trucchi di magia, stranezze e amenità. Assomiglia alla vita. Un enorme carrozzone di sentimenti trascinato in giro per il mondo alla ricerca di luoghi dove montare il tendone e lasciare che il grande spettacolo si compia per poi muovere verso un altro luogo.
Un pensiero un po’ vintage nell’era di internet in cui tutto è conosciuto, perfettamente collegato, spogliato di ogni mistero.
Che circo sarebbe quello del corpo in corsa?Quali sarebbero gli attori del “più grande spettacolo del mondo”?
Vedo chiaramente due belle ragazze che salgono lungo una scaletta di corda su una piccola piattaforma molto in alto, afferrano la barra del trapezio, con un movimento agile saltano su e cominciano a dondolare prendendo il tempo.
Nel mio circo sicuramente le gambe sono le trapeziste. Volteggiano come farfalle, leggere e forti, cullate dalla musica della vita che le circonda, siano parchi, boschi o il traffico della città, poco importa. Si muovono celando il loro ritmo sotto un movimento armonioso, in punta di piedi. A volte il loro tempo non corrisponde a quello degli altri artisti, sono altezzose e pretendono di andare più forte, di essere le stelle incontrastate dello spettacolo.
In lontananza si scorge un uomo in giacca rossa e pantaloni bianchi con un enorme cappello a cilindro, è il padrone del circo.
La testa, che è il contenitore di tutti i sensi, è sicuramente il padrone del circo. È lui che stabilisce la scaletta, decide chi entra in scena e quando. È lui che decide quanto dura la performance dei suoi artisti. Lui vede, ascolta, annusa, assaggia e tocca tutti i pericoli affinché il suo spettacolo prosegua impeccabile e si concluda con un applauso scrosciante.
Ecco che viene montata la gabbia, carichi di stupore attendiamo che entrino i grandi felini. Eleganti e fieri fanno il loro ingresso e subito mostrano i denti e con loro tutta la loro fierezza e aggressività.
Il cuore è il domatore delle fiere. Impavido, armato di una sedia, una frusta e una pistola, tiene a bada tutti i sentimenti negativi, i pensieri angoscianti ed è moderatore di tutte le parti in gioco con il suo battito costante e ritmico. È lui che guida il respiro e calibra la potenza delle gambe. Allontana gli affanni con la sedia e incentiva la velocità delle gambe con un colpo di frusta.
Su una fune dorata a 30 metri dal suolo, senza rete e con solo un ombrellino di merletto bianco, ci sono loro, le signore dell’equilibrio.
Le braccia. Oscillano con un movimento apparentemente naturale. Una gestualità della quale non ci chiediamo il perché. Lo facciamo e basta. Silenziose e delicate, lasciano appena percepire la loro presenza. Velano di timidezza la loro importanza, ma con il loro oscillare continuo aiutano l’equilibrio e lasciano che tutto il corpo si muova mi maniera armoniosa.
Un uomo robusto, dalla muscolatura possente e con il petto villoso fa il giro della pista raccogliendo consensi, indossa una strettissima canottiera a righe bianche e rosse come il tendone. Si porta al centro. È l’uomo più forte del mondo.
Sicuramente la parete addominale è l’uomo forzuto. Quello che solleva un bilanciere da 400kg con due belle signorine dai sorrisi bianchissimi sedute alle due estremità. È la sua potenza che sorregge il busto e protegge la schiena dagli urti dell’asfalto delle nostre città e dai suoi colpi sulle vertebre che risuonano come colpi di martello.
Arrivano in uno scroscio di risate, su una macchinina a pedali, con le scarpe troppo grosse che restano fuori o con una bacinella d’acqua nella quale fingono di tuffarsi con una capriola. I clown.
Un enorme sorriso dipinto su una maschera di cerone bianco, grandi occhi blu e buffi capelli che somigliano a trucioli di legno colorato. I clown sono le endorfine.
Conduttori di una naturale felicità che passa sopra ogni fatica, ogni problema, ogni dispiacere. Un tappeto stellato che copre tutto con il suo manto di felicità del quale non possiamo più fare a meno. Se sotto quella maschera ci sia un uomo felice o il più triste dei falliti a noi non è dato sapere. In quel momento, con le loro scarpe grosse, i pantaloni a quadri e un cappello fuori misura sono li per strapparci un sorriso e donarci attimi di incontrastabile felicità.
Al ritorno a casa i pensieri perdono quota, la realtà squarcia il velo dei giochi di fantasia e tutto rallenta. La città è sveglia, il cancello è aperto e la giornata è pronta a cominciare con quel senso di malinconia che si prova all’uscita del cinema, dopo aver visto un bel film.
Tutto assume un contorno di normalità con la consapevolezza che alla prossima uscita partiremo per un altro viaggio nel paese di Alice o sull’isola che non c’è.