Sono passati molti anni da quando mi sono trasferita qui, ma, come recita la canzone, “io ti ho scoperta, stamattina”.
No. Non proprio stamattina, ma ho cominciato a conoscerla meglio quando ho cominciato a correre.
Meglio, perché prima era una nuvola di puntini che per quanto mi sforzassi non riuscivo ad unire.
Non dico che ora mi sia già uscita la figura del Colosseo, ma diciamo che si intravede una figura.
Il mio “unisci i puntini” è cominciato qualche anno fa, quando non capivo perché la gente in questa folle città, carica di traffico e caos, girasse con in macchina lo stradario.
L’ho capito poco tempo dopo, quando la polizia mi ha accompagnata a casa perché mi ero persa in mezzo a Spinaceto, di notte, e piangevo come gli agnellini de “Il silenzio degli innocenti”.
Da quando corro tanti posti non sono più isole da raggiungere con due navigatori accesi e un pacchetto di Kleenex per detergere il sudore che mi cola da tutte le parti per lo stress. In tre lustri qualche strada l’ho imparata, ma è stata la corsa a dipanare questa matassa.
Da quando ho cominciato ad andare a Caracalla per gli allenamenti una volta a settimana, le distanze si sono magicamente accorciate e pensare di andare al Colosseo non mi imponeva più uno studio accurato della viabilità della capitale.
A volte lascio la macchina davanti allo stadio e parto per la mia corsetta senza meta. La mia corsetta “brain draining”.
Roma è magica.
Questa considerazione non ha nulla a che vedere con il calcio o con “la magica” con sette g. È una città magica in cui perdersi è meraviglioso. Sia che tu decida di correre lungo l’argine o di perderti per le vie della città, senti inevitabilmente di respirare i secoli. Il progresso. Il regresso.
Ogni mattone, battuto dal sole di una domenica mattina qualunque, riscalda la luce e le dà un colore ambrato, rossiccio. Un colore che solo la città eterna è in grado di produrre.
La storia ti circonda e ti avvolge nelle sue spire, ma non ti soffoca, ti porta con lei.
Come quella volta in cui Wonder Coach mi ha portata a correre dentro il Circo Massimo.
Abbiamo fatto un paio di giri di riscaldamento su quello che ora è un immenso prato. La sensazione fu stranissima.
Il tempo si era fermato e non sapevo più “quando” ero. “Dove” lo sapevo bene, ma sembrava di essere tornati indietro nel tempo. Come se da un momento all’altro potessimo essere travolte da una corsa di bighe.
Un po’ come quando giri tutto il giorno negli scavi di Pompei e quando esci sei confuso perché dopo una full immersion nella storia non sai più in che tempo ti trovi, o se sei nel mondo della tua fantasia o nella realtà.
A volte incontri il regresso, le buche, il traffico selvaggio che ti impone di cambiare strada, i secchioni puzzolenti e ribaltati che emanano un fetore insopportabile. Io li considero un modo per seguire il percorso stabilito dal destino.
Sono li per farti girare da una parte o dall’altra, per farti cambiare strada, per rincorrere la linea immaginaria che ti porterà inevitabilmente a perderti tra le strade del cuore della Città Eterna.
È seguendo la linea dorata del destino che ti addentri per le stradine del centro, senza obiettivi, senza meta. Senti i sampietrini sotto le scarpe, li guardi, poi alzi lo sguardo e decidi di girare l’angolo. E lui è li. Ormai da secoli e sembra fissarti nella sua immobilità. Castel Sant’Angelo.
Ci stavate cascando, ne sono sicura. Avrete subito pensato alla basilica di San Pietro o al Colosseo. Invece no. Invece è lui a liberare tutte le belle sensazioni che riesco a provare.
Anche solo percorrendo il lungotevere, dopo una curva che accompagna un ansa, compare in tutta la sua maestosità, solido, come una meravigliosa sorpresa.
Ricordo bene quando ho fatto la mezza della Via Pacis. Era la seconda mezza maratona della mia vita e i gazebo erano proprio, sotto il Castel Sant’Angelo.
Quel giorno faceva caldo e ricordo che faticai moltissimo a terminare la gara. Alla fine, dopo essermi cambiata, sono rimasta li, seduta su un muretto, in contemplazione, come faccio con le architetture del passato che mi rubano il cuore. Ricordo di essermi sentita stanca, felice e sicura. Accanto a quella fortezza così solida, resistita alle aggressioni dei secoli, dell’uomo, della guerra, più e più volte.
Pensandoci non è solo Castel Sant’Angelo, ma è Roma ad aver resistito a tutto questo, con la potenza dell’ingegno si è stesa a macchia d’olio fino a conquistare oriente e occidente per poi ritornare nei suoi confini, come il mare dopo uno tsunami.
È questo che respiro mentre corro affannandomi per le vie del centro.
La forza di resistere. È spesso la città che mi motiva in ogni istante, passo dopo passo, sui sampietrini, sull’asfalto, tra le buche e i marciapiedi sconnessi. Mi da forza ed energia per proseguire i miei allenamenti e portarli a compimento.
È della sua bellezza eterna e mai sfiorita che sento di far parte insieme a milioni di cittadini a volte stanchi e demotivati, ma sempre innamorati come una coppia al primo appuntamento.
Grazie Roma per avermi accolta nell’abbraccio delle tue ottobrate, per avermi permesso di respirarti, di viverti e di volerti un po’ di bene anche se non mi appartieni completamente.
Buon Compleanno amica mia.