Barbara Liberati e la sua ultramaratona chiamata vita

Quando sentirai il peso della salita e sarai senza fiato e incontrerai sorrisi e parole che ti daranno la forza di continuare, in silenzio capirai e ne avrai la certezza che non è per caso, tutto ha un senso ed una direzione.

Non lo so se abbiamo ognuno il suo destino o se siamo tutti trasportati in giro per caso come da una brezza…credo, può darsi le due cose, forse le due cose capitano nello stesso momento.

Ed è lo stesso momento in cui due anni fa ho incrociato i passi di Barbara e proprio sulla stessa salita anche quest’anno, sono rimasta colpita dal suo sorriso e dalla luce dei suoi occhi, due fanali, ti accendono, per un tratto insieme di nuovo.

Senti e percepisci la sua forza da come affronta quelle salite, vi assicuro alcune sono davvero toste sembrano infinite.

Non so mi è venuto spontaneo chiederle come fosse arrivata fino a lì e quando e come avesse iniziato a correre.

“Come ho iniziato a correre? Con mia sorella nel 2007 più o meno, dopo aver perso nostro padre nel 2005.

Ricordo ancora le nostre corse con la tuta acetata Adidas, la magliettona over size di cotone che portava gli aloni di sudore dopo i primi 2 metri e le scarpe che ad oggi realizzo non andavano bene nemmeno per fare 200 mt fino al supermercato!

Era la completa inesperienza ma ripensandoci oggi era tutto più bello e spontaneo, perché si correva esclusivamente per la voglia di farlo e non per essere più “figa” di quella dell’altra squadra.. 

Diciamo che feci il mio esordio in una gara podistica competitiva nel 2009 sempre con la mia inseparabile sorella: la GAETA FORMIA e ricordo ancora l’adrenalina che mi ha accompagnata per tutta la gara!

Da quel giorno le gare sono diventate la mia droga e la corsa una componente fondamentale nella mia vita.

Avevo nei tempi, anche se purtroppo l’anoressia aveva preso la mia mente e il mio corpo: 33 kg sulla bilancia ma la voglia di correre era sempre più forte.

Molti hanno sempre pensato che io avessi iniziato a correre per mantenere il mio fisico scheletrico , ma dimostrai che non era così quando nel 2010 feci una brutta caduta a 100 mt dal traguardo a Cassino: ricordo solo di aver perso i sensi, essere caduta, essermi rialzata, aver tagliato il traguardo ed essermi poi ritrovata nelle corsie dell’ospedale Umberto I Di Roma.

Frattura scomposta arcata sopraccigliare e orbita destra. Passai una estate con la faccia come un disco di vinile e con la smania di correre. 

Decisi di pormi un obiettivo, riniziare a mangiare e pensare alla mia prima mezza maratona. Che arrivò nel 2011: definisco quello come l’anno dei miei PERSONALI nella vita e nello sport.

Corsi la mia prima ROMA OSTIA e dopo qualche mese la mia prima MARATONA DI ROMA.

Mi sentivo invincibile, io avevo corso per ben 42.195 mt! Nei mesi seguenti arriva la spossatezza, la stanchezza, le mie gambe non ne volevano sapere, ma io testarda come sono, non mollavo! Pensavo che fosse “colpa” dell’impresa compiuta, dei tanti allenamenti, del mancato riposo.

In realtà non sapevo ancora che da lì a qualche mese avrei iniziato la mia MARATONA PER LA VITA. 

Il 1 agosto del 2011 sentii tutto ciò che una ragazza di 26 anni non si sarebbe mai aspettata: un cancro maligno di 8,5 cm non operabile si era accomodato nel mio seno sinistro.

Un inquilino inaspettato, indesiderato ma che andava affrontato.

Iniziarono le chemioterapie, le forze che andavano sempre a scemare, e per me era impensabile!

Io che correvo i 10 km in 45 minuti, io che avevo corso una maratona in 4 ore, io che cominciai a capire che non bisognava correre contro il tempo, ma che dovevo godermi il tempo e apprezzare ogni secondo di vita.

L’8 aprile del 2012 rimisi le scarpette e tornai a correre i miei primi 7 km.

Piansi tanto per la gioia di tornare a sentire i muscoli affaticati, le gambe stanche e il fiato corto; piansi per la voglia di ricominciare e non mollare.

Seguirono anni difficili seppur di ripresa, tornarono le prime gare, le mezze maratone, le maratone.

Fino al 2015 quando nei controlli periodici venni a sapere che L’INQUILINO era tornato, stavolta nella mia testa. Aveva deciso di stare lì, nel mio encefalo, ma non aveva capito con chi aveva a che fare.

Ero e sono una maratoneta ma evidentemente non bastava.

Cominciammo a dargli lo sfratto con le terapie e a mio avviso la mia terapia di sfratto collaterale glielo davo con la corsa. Decisi di non fermarmi seppure le cure si sa, si fanno sentire.

E nel 2016 spinta sempre da mia sorella e dal suo adorabile compagno, mi convinsi del fatto che in fondo potevo provare a superare la maratona e misurare me stessa sulla voglia di sfidare il muro dei 42195 metri.. diventare ULTRAMARATONETA sfida accettata!

Nel luglio 2016 con la 6 ore dei Conti per poi avere la conferma che mai e poi mai avrei abbandonato quel mondo correndo nella mia terra la 50 KM DEL GRAN SASSO, il piccolo Tibet che mi ha fatto apprezzare il fiato corto in salita, che mi ha regalato emozioni uniche, che mi ha fatto conoscere persone che sono entrate a far parte della mia vita quotidiana, che mi ha messo a nudo, fatto piangere e ridere di gioia.

Una 50 km con me stessa e con la voglia di non mollare, una 50 km alla quale do appuntamento ogni anno per l’anno successivo, perché NONOSTANTE TUTTO finché avrò gambe, testa e cuore niente e nessuno potrà arrestare la mia ULTRAMARATONA chiamata VITA.”

“La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia.” (Mahatma Gandhi) 

Grazie Barbara 

Dominga Scalisi