La prima donna a partecipare ad una Maratona nel 1967. E adesso dopo 50 anni, a che punto siamo?
Vi dice qualcosa il nome Khaty Switzer?
Khaty Switzer è stata la prima donna a correre la Maratona ed eravamo a Boston nel 1967. Indossava in quell’occasione il pettorale 261 ed era riuscita a prendere parte alla competizione attraverso uno stratagemma.
Si era registrata con le iniziale del suo nome “K.Switzer” e non riportando il suo nome “Khaty” per esteso. Sembrerà strano oggi a sentirlo, però a quel tempo, vigeva il divieto per le donne a prendere parte a manifestazioni atletiche di questo tipo. Dopo circa 3km dall’inizio della gara si accorsero della sua presenza e provarono a strattonarla via dal tracciato con forza.
Il fidanzato di Kathy, anche lui iscritto alla Maratona, la protesse da quelle mani che la strattonavano ed insieme proseguirono nei chilometri. Anche tutti gli altri maratoneti presenti in gara, si schierarono dalla parte di Kathy incitandola a finire il percorso.
La Switzer, prima donna nella storia a farlo, chiuse la Maratona in 4 ore e 20.
Noi tutte appassionate di questo sport, non possiamo che ringraziare questa donna caparbia e tenace per averci aperto la strada.
Caparbia e tenace Kathy, come solo una Maratoneta può essere.
Pensate bene che è stato proprio grazie a lei e a tutto il movimento che ne scaturì dalla sua partecipazione alla Maratona di Boston, che nel 1971 la Maratona di New York aprì le sue strade a tutte le donne che ne volessero prendere parte.
La stessa Switzer nel 1974 vince la tanto blasonata Maratona di New York suggellando, se mai ce ne fosse stato bisogno, la sua immagine quale simbolo della lotta all’emancipazione femminile nello sport.
Troppo delicate, poco competitive. Indecoroso assistere a donne che si cimentano mezze svestite in competizioni sportive in giro per il mondo.
Contro questi pregiudizi hanno dovuto lottare le donne che ci hanno preceduto.
In realtà molto più coraggiose e piene di carattere degli uomini e della società che le voleva relegate ad un angolo e non al centro del palcoscenico sportivo dove realmente dovevano trovarsi.
Non possiamo non citare Ondina Valla, la prima donna a conquistare l’oro Olimpico nella specialità della corsa ad Ostacoli alle Olimpiadi di Berlino.
La Valla avrebbe dovuto partecipare molto tempo prima ai giochi Olimpici, tuttavia dovette lottare contro i pregiudizi persino della madre stessa che considerava indecoroso per una donna cimentarsi in uno sport da uomini.
Ora pensate a quanto poco tempo, tutto sommato, sia passato da quegli anni in cui si lottava per l’affermazione delle libertà individuali di genere.
In 50 anni il mondo è cambiato, ma non ancora abbastanza.
Non posso non citare le sorti dell’atleta somala Saamiya , una delle migliori velociste del continente africano nell’ultimo decennio. Saamiya è morta nel tentativo disperato di scappare da un Paese, dove alle donne non era concessa la libertà di allenarsi.
Ed in questa fuga, nel suo grido di libertà ha trovato la morte senza poter partecipare alle Olimpiadi di Londra dove nel 2012 si sarebbe dovuta cimentare sui 200 metri.
Sebbene la “Carta dei principi dello sport per tutti” del 2002, sottolinei che praticare lo sport sia un diritto che spetti a tutti i cittadini senza discriminazioni alcune di genere o di età, sappiamo anche che in molti Paese esistono dei profondi divari culturali e religiosi.
Tutt’oggi dobbiamo ammetterlo che gli stereotipi uomo/donna nella vita come nello sport sono difficili a morire.
Pensate all’ultima pubblicità di un prodotto sportivo che vi viene in mente.
Protagonista dello spot, uomo o donna?
Affidiamoci ai dati per dire che solo il 19.6% delle donne (Istat 2017) pratica sport in maniera costante e per lo più nella fascia dagli 11 ai 25 anni. Dopo subentrano troppi impegni: lavoro, famiglia, cura dei familiari e lo sport viene relegato ai margini della propria vita.
Partendo da questo, lasciamo spazio agli esempi positivi.
Alle eccellenze nello sport, in tutti gli sport e anche nell’atletica del nostro Paese. Flavia Pennetta, Valentina Vezzali, Federica Pellegrini e le nostre amate beniamine dell’atletica Valeria Straneo, Sara Dossena, Giovanna Epis e molte altre donne che ci hanno fatto e tutt’ora ci fanno sognare con le loro prestazioni sui campi di gara.
È a queste atlete che ci rivolgiamo, professioniste nello sport e con una vita come tutte fuori dal campo.
Affidiamo a voi i nostri sogni perché sempre più venga appianato quel divario di genere.
Perché anche quegli sport considerati poco femminili o semplicemente “poco adatti ad una bambina o una ragazza” (e quante volte ci sarà capitato di sentirlo dire), sia concesso di sognarli ad una bambina che magari – potendo coltivare senza limitazioni la sua passione – diventerà la calciatrice o la tiratrice di rugby più amata della nostro Paese.
Chiara Fierimonte