Domenica mattina di buon ora sono uscita a correre, c’era silenzio e l’aria era fresca.
Ho corso per le vie di Roma semi deserte, guardandomi in giro, ascoltando suoni e percependo odori. Il campo di allenamento di noi podisti è questo.
Chi nuota ha certamente altri suoni, altri odori, altre visuali che lo accompagnano nella fatica dell’allenamento.
Chi fa boxe ancora altri.
E così via.
L’attività sportiva che pratichiamo non è solo il gesto tecnico che compiamo, ma è un tutt’uno con quello che compone il contesto in cui si svolge.
Faccio un esempio personale: correre su un tapis roulant posizionato di fronte ad una vetrata sul verde è diverso che correre su un tapis roulant posizionato di fronte ad un muro. E correre al chiuso (anche con vista) è diverso che correre all’aperto. E dove corriamo all’aperto può fare ulteriormente differenza.
Quello che rimane uguale è il gesto tecnico della corsa, ma tutto il resto intorno cambia e la nostra corsa cambia con esso.
La psicologia dello sport si occupa da anni di ciò che c’è intorno al gesto tecnico, concorrendo a creare le condizioni contestuali e mentali che renderanno il gesto tecnico più facile ed efficiente.
Perché questa lunga premessa?
Perché io sono una di quelle fortunate che dal 26 ottobre può ancora svolgere la sua attività sportiva preferita, la corsa, e potrà farlo dove le pare.
Dal 26 ottobre le palestre e le piscine invece sono chiuse per provvedimento del Governo per contenere la diffusione del COVID-19.
Quindi tutti coloro che praticano sport all’interno di palestre e piscine si sono dovuti fermare.
Anzi no! Non devono!
Perché l’attività motoria concorre al mantenimento di un buono stato di salute, sia fisica che psicologica, e mai come in questo periodo ne abbiamo tutti bisogno.
Un’altra volta siamo chiamati a compiere un adattamento, lo possiamo e dobbiamo fare a nostro vantaggio.
Di nuovo dobbiamo trovare un nuovo pattern mentale e comportamentale per non subire lo stato delle cose, ma adattarci ad esso per la nostra convenienza, continuare a muoverci, a fare attività fisica, per rimanere in salute.
Molti domenica sono andati a fare l’ultima nuotata o l’ultima lezione di zumba in palestra per poi dover capire come trasformare il loro sport per non smettere di muoversi.
Ciò che abbiamo imparato durante i mesi di lockdown ci tornerà utile, ciononostante siamo chiamati a fare nuovamente la fatica di adattarci, per non soccombere alla Pandemic fatigue, cioè uno stato di stress e apatia forte, dovuto alla prolungata crisi e soprattutto all’incertezza sulla sua conclusione.
Il non poter tornare alla vita normale porta demotivazione e stanchezza nel seguire le stringenti norme, che non sembrano poi dare i risultati tanto sperati.
Questo fenomeno lo ha studiato l’OMS attraverso un questionario somministrato in Europa. Il dato che emerge è che ben il 60% degli europei soffre di questo disagio, strettamente legato alla pandemia e all’incertezza che essa porta.
Se nella prima fase dell’emergenza le persone sono riuscite a far fronte alle avversità attingendo dalla propria capacità di sopravvivenza, con il passare dei mesi questo tipo di riserva si esaurisce. Ci si trova così ad avere un senso di sconforto e smarrimento, che spinge le persone a non essere più reattive.
Chiunque pratica sport sa invece come essere reattivo nella fatica e nell’avversità, lo abbiamo imparato proprio grazie ad esso.
Continuiamo a muoverci quindi, anche lontani dal campo di allenamento del nostro sport.
Cecilia Somigli
cecilia.somigli @ gmail.com
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