Ve lo ricordate il mondo del running come lo abbiamo lasciato? era pieno di incastri e perversioni che poco avevano a che fare con la spontaneità della corsa.
Quante ne abbiamo sentite dal fisioterapista per recuperare in fretta l’infortunio appena in tempo per la gara successiva, al massaggiatore per riprendere subito gli allenamenti con i muscoli stanchi.
Gli integratori per resistere ad allenamenti intensi, i gel per non perdere un decimosecondo nei ristori, l’ultimo modello di scarpetta ultraleggera #iocorrocomekipchoge per tentare il personale.
Il nuovo modello di gps-cardio per affinare i parametri di allenamento secondo i dettami del momento, i coach “di gruppo” e “personali” che ti rendono perennemente competitivo per esprimerti al massimo tutte le domeniche e consecutivamente.
Quante ne leggiamo dalle bacheche di noi tutti?
Il nutrizionista-dietologo che lima ogni decimetro cubo di grasso che potrebbe ostacolare l’ultimo km della maratona.
Il fotografo di moda che ti grida “sorridi” per l’inevitabile foto-ricordo della solita gara.
La lista è davvero lunga e si chiude, ripensando ai trascorsi, con il tuo gruppo sportivo, ancora di salvezza dopo una settimana di lavoro, che ti prometteva gran belle pacche sulle spalle e quattro battute vis a vis che ora sono un lontano ricordo.
Ma per fortuna siamo all’anno zero del podismo, perché tutta questa traballante lista di cose da fare hanno tolto la poesia al gesto più naturale di sempre: la corsa. Come una marea che sale da più parti cresce il bisogno di azzerare e ripensare al prodotto running-competizioni.
Purtroppo la corsa, come pratica sportiva, negli ultimi anni si era troppo sbilanciata verso una sequela ininterrotta di gare, mercificando ogni aspetto, arrivando a saturarne il business (ovviamente spinto da tanti, troppi, attori in scena Fidal compresa…).
Il tutto a scapito di una visione utilitaristica e fine a se stessa: divertirsi e stare in salute, due cose che con il vortice del trinomio gare-prestazione-business, si erano andate progressivamente a perdere nel tempo, per colpa un ruolino di marcia fatto di insoddisfazioni, tensioni e infortuni provocati da uno stato di “presunto” benessere psico-fisico diciamo non proprio sano e salutare.
Perché “spinto dal vortice”, scarichi le frustrazioni della tua vita sulla corsa e inquini il movimento innescando una pericolosa spirale di sadica perversione competitiva verso tutto e tutti.
Non corri più per te ma contro qualcuno o qualcosa di cui non sei a conoscenza e questo da oggi non serve più accettarlo.
Tanti nella corsa rincorrono quello che non riescono ad afferrare nella vita, alla ricerca di stimoli “pseudo-positivi” sprofondano nella partecipazione alla gara come in un disperato bisogno di riscatto da qualcosa di fondamentalmente estraneo alla corsa stessa.
E così le tue competizioni diventano la tua benzina. Una benzina un po’ drogata in ottani, quando a tanti basterebbe un diesel agricolo.
Domani, in futuro prossimo incerto, coloro che nelle gare cercavano una voglia di liberazione e rivalsa sociale legata alla prestazione cronometrica, all’ultradistanza, alla partecipazione esagerata in giro per il mondo, all’incessante pallottoliere del numero di gare fatte, alla ricerca dell’errore sportivo da stalkerare, insomma, per tutti questi in un mondo senza gare, cosa faranno?
Come si muoveranno, di che parleranno, in cosa andranno alla ricerca?
In questa nuova era all’orizzonte dove (finalmente?) si dissolve l’aspetto consumistico nella sua veste piu’ subdola e pervasiva annullandone i parametri nel quale pascolavano e si moltiplicavano, come si comporteranno d’ora in poi?
È come un batterio a cui togli la coltura nel quale sopravviveva, quale sarà la loro nuova strategia di sopravvivenza in un terreno ostile? Il problema è come si comporteranno quando il tutto ricomincerà E ritornerà come prima: impareranno? cambieranno? miglioreranno?
Siamo convinti di no, anzi il timore è che peggioreranno.
Come in ogni evoluzione, attraverso un processo di naturale selezione darwiniana, ci saranno quelli che si adatteranno ai cambiamenti, altri che spariranno incapaci di mutare e altri che continueranno a cercare di sopravvivere con i vecchi schemi.
Il vero problema è capire se quando tutto ricomincerà sarà davvero tutto uguale a prima? Questo stop forzato sarà riuscito a scardinare, frantumare e sfarinare le granitiche certezze costruite su disperate ossessioni che poco avevano a che fare con la corsa?
Saremo davvero in grado di andare alla riscoperta di valori e passioni scevre da gran parte dell’accessorio mediatico, fattoci credere indispensabile per una vera e autorevole certezza del proprio ego podistico dispensato ed incensato urbi et orbi?
Quante volte avete detto alla fine di una gara “gara indegna, qui non ci torno più” e poi l’anno dopo eravate di nuovo sulla linea di partenza? Tutto ciò dipende anche dall’incapacità della Fidal nel non rimettere in calendario la gara in questione.
Poche, forse pochissime volte, più che altro su quelle incontestabilmente mal riuscite il ricordo si è protratto all’anno successivo.
Il podista fa più fatica a ricordare il brutto delle gare mentre si ricorda benissimo delle gare belle (bella la medaglia, hai visto che ristori? percorso spettacolare, buffet fornitissimi, maglietta gara finalmente di marca seria, ecc)
Purtroppo sono le cose che senti sempre dai runner, come un mantra, nel tempo sono diventati i parametri di riferimento per giudicare una gara, come se tutto si risolvesse così.
Vorremmo vederli a faticare sul serio negli spogli e spartani classici cross invernali, tutti lacrime e sudore, zero ristori, zero magliette, zero medaglie, zero pacco gara, sentirli mugugnare mentre si cambiano in pieno inverno con tre chili di fango addosso da spalare…
Dopo il quarto cross di seguito quanti di questi ancora rimangono in piedi ai nastri di partenza…
Non ce ne vogliate ma siamo fondamentalmente tutti, (noi compresi) podisti della fettuccina, altro che sport con la s maiuscola, a buon intenditor…
Un caro saluto.
Il Vegano – Mr. Tavernello – Libertè-Egalitè-Fraternitè