“L’amico mio! L’amico mio!”
Quando a Barivecchia sono dalle parti di casa con Winch, prima o poi riecheggia tra i vicoli questo grido.
Riesce sempre a sorprendermi, perchè può arrivare alle spalle, o da una stradina laterale, da un portone, da dietro a un cassonetto; una volta sembrava venire da dietro le casse di un fruttivendolo.
Al grido fa seguito l’inevitabile comparsa di un bambino sovraeccitato con i capelli biondo platino, che come nei migliori agguati spunta fuori da chissà dove, grida “L’amico mio! L’amico mio!” e si lancia ad abbracciare Winch.
Io, che sono spesso sovrappensiero, puntualmente sobbalzo, un po’ per il grido, un po’ per il furetto biondo che mi arriva tra i piedi e invade il mio spazio. Ma poi mi riprendo: “Ciao AlbertoPorcelletti!”, e lui ride e salta sul posto muovendo le mani quasi fossero ali, tanta è l’eccitazione di vedere Winch.
La prima volta che mi comparve davanti stavo tornando a casa con Vale e Fabri e spuntò dal nulla questo scugnizzetto di cinque o sei anni magro magro, rigorosamente in canotta, con la carnagione scura e i capelli tinti biondissimi, che saltellava intorno al cane sbattendo le ali e facendo gridolini di gioia; gli dissi qualcosa tipo: “Lui è Winch, è un cane amico dei bambini. E tu come ti chiami?”
“AlbertoPorcelletti!” Fu la risposta.
E da allora è rimasto “AlbertoPorcelletti!”, nome e cognome, un’unica parola, rigorosamente col punto esclamativo.
Che poi per un minimo di privacy il nome vero non è proprio “AlbertoPorcelletti!”, l’ho dovuto cambiare, e sono stato ad impazzire per trovare un nome finto che suonasse altrettanto bene, ma vi giuro che il nome vero è più bello.
Insomma, ogni volta spunta dal nulla e mi fa sobbalzare, poi inizia a saltellare come un folletto psicotico, io mi riprendo e lo saluto: “AlbertoPorcelletti!”
L’unica volta che non mi ha colto di sorpresa è stata una volta che stava seduto sull’uscio di una casa con un altro bambino, e parlavano fitto fitto, chissà di cosa, così fui io a salutarlo.
“Ciao AlbertoPorcelletti!”
Alzarono le testa, distratti.
“Ci è cud trmon?” gli chiese l’amico.
“Buh, il padrone di un cane amico mio”.
Ieri dalle parti della Basilica mentre portavo Winch a passeggiare sul mare ho subito il consueto agguato, preannunciato dal solito grido di battaglia: “L’amicomio!L’amicomio!”
Stavolta però mentre AlbertoPorcelletti batteva le ali e saltellava intorno a Winch, si sono avvicinate due ragazze in monopattino, o meglio una ragazza che pareva avere trent’anni e una bambina di tre o quattro. La grande ha detto qualcosa tipo “Alberto, lascia stare il cane”, con l’unico effetto che AlbertoPorcelletti si è avvinghiato a Winch continuando a saltellare, mentre la bambina è accorsa verso quello che era diventato uno strano ibrido Bambino-Cane e si è messa pure lei ad accarezzare la creatura.
Per rassicurare quella che mi pareva la mamma di AlbertoPorcelletti le ho spiegato che Winch era un bravo cane, molto amico di AlbertoPorcelletti, e per darle l’idea della confidenza col cane le ho raccontato l’aneddoto di “Ci è cud trmon”.
La cosa l’ha fatta molto ridere, intanto i due bambini avevano iniziato a contendersi le attenzioni di Winch, e AlbertoPorcelletti cercava di allontanare la sorellina facendo un verso che suonava tipo “Ou, lazì! Ou lazì”.
Quando siamo andati via, mia moglie mi ha fatto notare come, una volta di più, non avessi capito niente della situazione.
Quella che credevo essere la mamma era in realtà la nonna di AlbertoPorcelletti.
La nonna.
Sul monopattino.
Ma soprattutto quella che non poteva che essere la sorellina piccola (o tutt’al più la cuginetta) di AlbertoPorcelletti. era invece -colpo di scena- sua zia.
Sua ZIA.
La bambina piccola.
Non chiedetemi come e perché, me l’hanno spiegato due volte, ogni volta mi sembra di capirlo ma poi me lo scordo subito.
E la cosa stupenda è che tutta questa storia surreale, qui tra i vicoli di Barivecchia è ordinaria amministrazione. Folletti psicotici, nonne in monopattino, zie bambine.
C’è qualcosa tra le pietre della Città Vecchia che prende le storie della vita e le rimescola in modo strano.
Un modo insolito e contorto, talmente lontano dai nostri occhi borghesi e occidentali che a volte mi sembra di essere in un altro continente, o su un altro pianeta.
Ma è un modo che ai miei occhi profuma di poesia.
E non ne saprei più fare a meno.