Storie di cani incredibili, alle quali non credevo

Si raccontano tante storie sui cani. Alcune verosimili, alcune strane, altre proprio incredibili.

Devo premettere che alle storie di cani non davo tanto peso, perché non avendo un cane non ci badavo più di tanto. E a quelle incredibili ovviamente non ci credevo.

Poi nella nostra vita è arrivato Winch, un Labrador cioccolato tutto pazzo. E ho iniziato a vedere le storie dei cani con occhi diversi.

Sentite un po’ la soria di UZ.

UZ era un pastore maremmano, uno di quei bei cagnoni bianchi. Il cane di Belle e Sebastien per intenderci. Cioè, proprio Belle (Sebastien era un bambino).

Uz però non viveva sulle alpi francesi, come Belle, ma in una Corte a Barivecchia.

Erano gli anni 80, Barivecchia era parecchio diversa da quella che vediamo e viviamo oggi, ma le Corti sono sempre lì, ora come allora, e le dinamiche sono più o meno le stesse. Una Corte è il grande atrio “condominiale” circondato da palazzi e chiusa da un portone comune. Uso le virgolette su condominiale perché magari il termine condominio rende un po’ l’idea a chi non conosce le Corti, ma a Barivecchia ha un significato umano, sociale e giuridico molto diverso rispetto al condominio delle città nuove.

Comunque, Uz era il cagnone di una famiglia che abitava in uno dei palazzi che affacciavano sulla corte, e per transitività era il cane di tutti i bambini che abitavano in quei palazzi, e che in quella corte trascorrevano gran parte delle loro giornate, giocando tra loro. Uno di quei bambini era Michelangelo, ora mio coetaneo ultraquarantenne e bellissima persona, che mi ha raccontato di questo cagnone bianco dal nome pittoresco che entrava ed usciva di casa liberamente, saliva e scendeva le scale in autonomia, girovagava per la Corte (e spesso se ne andava in giro per le strade della città vecchia) e costituisce un ricordo forte della sua infanzia a Barivecchia. Non amava particolarmente gli estranei, ma era dolcissimo con i bambini, il cui amore ricambiavano abbondantemente e rumorosamente.

Un’estate la famiglia di Uz partì per un viaggio in auto in Germania, in visita a parenti trasferiti lì.

E si può ben immaginare lo strazio di tutti i bambini e del vicinato quando, un paio di settimane più tardi, la famiglia tornò a casa senza Uz.

Raccontarono al vicinato sgomento che durante una gita in una foresta (immagino la Selva Nera), quando ormai si era verso il tramonto e sul punto di tornare a casa, Uz (che come al solito girovagava libero nei pressi dei padroni) ad un tratto è scattato verso gli alberi abbaiando, alla rincorsa di chissà quale animale, addentrandosi nella foresta.

Genitori, bambini e parenti tedeschi hanno preso a chiamare a gran voce Uz, convinti di vederlo ricomparire al galoppo di lì a poco, ma Uz non tornava. Si organizzò così una ricerca, ma il buio, la pioggia sopravvenuta e il timore di perdere qualche bambino costrinsero la famiglia ad andare via senza Uz. Raccontarono che anche il giorno dopo tornarono sul posto di prima mattina, coinvolgendo anche dei ragazzi vicini di casa dei parenti tedeschi, e passarono l’intera giornata a cercare Uz gridando il suo nome nel bosco.

A questo punto devo ammettere che, pur comprendendo la drammaticità del momento, non posso non sorridere pensando ad un gruppo di Italo-Tedeschi in un bosco che urla UZ! UZ!

Che nome stupendo.

Comunque sia alla fine la famiglia si è dovuta arrendere all’evidenza, e tra pianti dei bambini e comprensibili malumori si è rassegnata a tornare a casa, e poi a Bari, senza Uz.

Tutto il vicinato, in primis i bambini, accolsero la notizia come un lutto, ma la vita va avanti, e dopo qualche giorno i ragazzi ripresero a giocare allegramente e rumorosamente giù nella Corte, anche senza il buon Uz.

Ma qualche settimana dopo, quando ormai il caldo di agosto aveva lasciato il posto ai primi freschi di settembre, mentre era in corso la solita sfida a pallone del pomeriggio con il campo delimitato tra il portone di ingresso e le colonnine della scalinata principale, la partita fu interrotta da un evento inaspettato: un grosso maremmano, lurido, ferito e smagrito, attraversò la corte correndo incontro ad un bambino in particolare: Uz!

Il ritorno di Uz fu un’ evento che coinvolse tutti gli abitanti della Corte e tutto il vicinato. La notizia si sparse per Barivecchia e rappresentò argomento di conversazione per le settimane a venire: come avesse fatto Uz a ritrovare la strada dalla Foresta Nera a Barivecchia resta tutt’ora un mistero.

E i testimoni della vicenda, tra cui il mio amico Michelangelo, continuano a chiedersi come abbia fatto Uz ad arrivare dalla Germania a Bari, contando che in Germania non era andato a piedi (e quindi magari era stato in grado di ripercorrere i suoi passi seguendo gli odori) ma in macchina in autostrada; e di certo Uz non sapeva leggere i cartelli e le mappe stradali.

Ma tant’è.

Quando ho sentito la storia, da non padrone di cane, semplicemente l’avevo accantonata tra le storie improbabili, delle quali mi importava relativamente.

Poi è arrivato Winch.

Winch che ha la sua cuccia sul terrazzo della nostra cucina e dorme fuori; ma ogni mattina quando mi avvicino alla finestra esplode di gioia in salti di un metro, per la semplice contentezza di rivedermi. Winch che quando noi umani usciamo di casa o andiamo a dormire se ne sta tranquillo sul terrazzo a fare cose da cane, ma se siamo in casa e siamo svegli non tollera stare fuori da solo e abbaia come un pazzo, finché non gli apriamo. Ed è felicissimo di starsene anche ore chiuso in ascensore a sonnecchiare, pur di stare allo stesso piano in cui siamo noi.

Winch che in una parola vive per noi, e ogni giorno ci inonda di un amore infinito, disinteressato ed incondizionato.

E così la storia di Uz ha acquisito un senso, e ho capito.

Ho capito che probabilmente resterà un mistero “come” abbia fatto Uz a ritrovare la strada dalla Germania a Bari, ma la cosa è del tutto secondaria, dal momento che mi si è chiarito il “perché”.

Uz amava i suoi padroni di un amore talmente forte e puro, che semplicemente doveva riunirsi a loro, a qualunque costo, perché senza di loro la sua vita non aveva più senso.

E io che amo raccontare avventure mi rendo conto che una volta tanto non contano le mille peripezie che avrà vissuto Uz nel percorrere a piedi quei millecinquecento chilometri su strade sconosciute, guidato solo dal suo amore, e che alla fine lo hanno portato sporco, magro e ferito ad arrivare a Casa oltre un mese dopo.

Perchè tutto il percorso e tutto quello che ha vissuto sbiadisce al cospetto della sua incrollabile motivazione.

La storia di Uz mi fa pensare che ci sono dei “perché” talmente forti, da rendere il “come” del tutto secondario. E mentre tutti noi, figli del pensiero illuminista ci affanniamo a studiare il “come” per compiere certe imprese, i cani nella loro semplicità ci insegnano che forse dovremmo concentrarci di più sul “perché”.

Quei “perché” che se sono abbastanza forti superano tutto il resto e bastano a se stessi, fino a rendere possibile anche l’impossibile.

Storie da Caffè