Il terrore corre sul filo. L’abitudine dell’audio, o messaggio vocale, o nota audio, o vocale, a seconda degli ambienti e dei costumi linguistici, è ormai una realtà con cui fare i conti. Meno invadente di una telefonata, più “stringente” di un messaggio scritto, si pone a metà nella mappa delle possibilità di comunicare del proprio dispositivo cellulare. In principio l’audio veniva dissolto, disperso nell’etere, quando magari, al quarto minuto di una spremuta di cuore fatta all’amico premendo un clic, una telefonata sopraggiungeva e distruggeva tutto un mondo di confidenze, ribadendo la supremazia della chiamata sugli audio.
Ora non più, la realtà è cambiata e bisogna pur fare i conti con essa!
Detrattori e sostenitori spesso si scontrano su questo schermo e vengono fuori varie scuole di pensiero.
Meglio dirlo subito, io sono completamente a favore.
L’audio ( io lo chiamo così ) puoi sentirlo quando ti pare, puoi stopparlo e riprenderlo più tardi, puoi risentirlo a dismisura, se non riesci a sentirlo bene metti gli auricolari, puoi inoltrarlo, puoi conservarlo, non occorre registrarlo perché è già lì, funge da promemoria, è comodissimo quando il discorso è lungo ma magari sai che il destinatario non può ascoltarlo in quel momento.
E tu lo depositi, lo lasci lì nel momento esatto in cui vuoi comunicare, sapendo che, prima o poi, il destinatario ascolterà per intero ( non è detto.. ) quello che vuoi fargli sapere.
I detrattori, gente solitamente difficile, adducono scuse del tipo:
se sono in mezzo alla gente non posso ascoltarlo ( falso, basta appoggiare l’orecchio sul telefono o, addirittura, o mio Dio, inforcare gli auricolari! ); mi fa perdere un sacco di tempo ( forse meno di quanto ci metteresti a leggere il corrispettivo messaggio scritto, perché comunque puoi continuare a fare altre azioni mentre ascolti ); è fastidioso perché impone un ascolto in tempi brevi ( ma non è vero, se è urgente non faccio l’audio, ti chiamo ).
Questa gente solitamente difficile appena vede il famoso “sta registrando audio” comincia a sospirare, a sbuffare e ad avere più problemi di quelli che solitamente ha.
Quando poi l’audio supera il minuto di durata, apriti cielo, è come aver fatto loro un torto del tipo avergli sequestrato la madre o la figlia!
Personalmente, quando mi arriva un audio sono felice perché di solito è portatore sano di comunicazione, di voglia di confronto o, più semplicemente, funzionale all’informazione che ha.
Ma, attenzione, ci sono quelli che… “non mi piace la mia voce, non farò mai un audio”. Ah, ecco.
Posizione interessante.
Quindi? Non rispondi neanche al telefono, a questo punto, perché, te lo rivelo, l’altro, quando tu chiami, ascolta proprio la tua voce!!! Pensa!
Poi ci sono quelli, e questi sono i più adorabili, che sentono il proprio audio ascoltandolo cercando di percepire la ricezione dell’altro. E lì, c’è poco da fare, è questione di sensibilità, non di egocentrismo, come i più superficiali ( ancora la gente solitamente difficile… ) potrebbero pensare…
C’è tutto un mondo attorno agli audio che va oltre la comunicazione scritta del messaggio, ripropone pause, tono, timbro, volume, ritmo! Certo, è un atto un po’ teatrale, somiglia al monologo ma fa scoprire molto della persona che lo manda, perché, nella sua generosità, sta parlando con te invece che con sé stesso, quando la modalità scelta è proprio quella, tra le tante che potrebbe scegliere, intima, personale, confidenziale.
Elvio Calderoni