PIE ILLUSIONI

DJUMA venne fuori dal cunicolo che ormai era buio.

Era entrato lì poco prima che sorgesse il sole, e aveva passato tutto il giorno sotto terra. Buttò a terra il pesante sacco e si sedette a terra, esausto; posò la picozza e si sputò sulle mani screpolate, per pulirle dal sangue e dalla polvere. Ogni giorno gli facevano più male, ma quel giorno ne era valsa la pena: oltre trenta chili di minerale, per i quali avrebbe ricavato almeno due dollari.

Da quando suo padre era morto nel crollo del settore B2, era diventato lui l’uomo di casa, e a soli undici anni doveva procurarsi da vivere per sua nonna, sua mamma e la sua sorellina Juba.

Per sua fortuna lì a Katanga è facile trovare un lavoro nelle miniere. Certo, nelle miniere industriali possono lavorare solo gli adulti, ma nelle miniere artigianali c’è posto per tutti. E anzi i bambini sono i lavoratori più richiesti, perché piccoli e agili come lui ed il suo amico Yussuf riescono a scendere nei cunicoli più stretti e a seguire le vene del minerale.

Povero Yussuf, ieri sera aveva iniziato a tossire e aveva sputato sangue, e poi aveva continuato a tossire tutta la notte, così oggi non era potuto scendere in miniera, e si era perso il bel filone che aveva trovato lui. Era un lavoro duro, e certi giorni erano davvero sconfortanti. Ma quello era un giorno buono: non c’era stato nessun crollo, nessuno era rimasto sepolto sottoterra, e lui aveva trovato quella bella vena dalla quale era riuscito ad estrarre quel tesoro.

Immerse le mani nel contenuto del sacco e la sua faccia impolverata fu illuminata da un sorriso bianchissimo, bianco come le striature di Cobalto nelle rocce del suo sacco. A ben pensarci non aveva mai fatto un raccolto così, né l’aveva visto fare a nessuno dei suoi amici.

Non osava quasi sperarlo, ma forse Benik, il supervisore, gli avrebbe pagato addirittura tre dollari per quel carico straordinario.

Già si immaginava la faccia di sua madre.
Ci sono giorni in cui tutto sembra andare bene, giorni in cui sembra lecito sperare in un futuro migliore.

Djuma prese il suo sacco, se lo caricò faticosamente in spalla, e a piedi nudi si avviò sorridente verso il punto di scambio.

FRANCESCO uscì dalla sede Aziendale che ormai era buio.
Era partito da casa poco prima che sorgesse il sole, e aveva passato tutto il giorno in ufficio.

Buttò la cartella sul sedile del passeggero e si sedette al posto di guida della sua auto.
La giornata era stata proficua: al Sindaco era piaciuto lo studio di fattibilità, e avevano avuto il via libera per il progetto di mobilità sostenibile: 1000 monopattini elettrici da distribuire in giro per la città, che avrebbero garantito ad i cittadini un mezzo di trasporto veloce ed economico e, soprattutto, ecologico. Mille monopattini elettrici rappresentavano virtualmente mille auto in meno in giro per la città, mille marmitte in meno che sputano fumo che inquina l’aria, mille motori che consumano gasolio in meno. Tutti sostituiti da motori elettrici silenziosi, ricaricabili e con zero emissioni. Grazie alla sua Azienda, e in parte grazie al suo impegno, la transizione ecologica era in corso.

Non vedeva l’ora di dirlo alla sua compagna.
Ci sono giorni in cui tutto sembra andare bene, giorni in cui sembra lecito sperare in un futuro migliore.

Francesco spinse il tasto di accensione della sua auto, e accompagnato solo dal impercettibile ronzio del motore elettrico si avviò sorridente verso casa.

ANDREA finì di scrivere il suo pezzo che ormai era notte.
Aveva letto alcuni articoli riguardanti le difficoltà di approvvigionamento di Coblato, materiale essenziale per la costruzione delle moderne batterie di motori elettrici e cellulari; e aveva passato il pomeriggio a documentarsi sulle atroci condizioni di lavoro nelle miniere di Cobalto della Repubblica Democratica del Congo. Aveva letto alcuni rapporti di Amnesty international, e alcuni reportage di inchiesta che documentavano l’inferno delle miniere “artigianali” di Cobalto.

Aveva pensato al costo e alle contraddizioni della transizione ecologica, e a come scrivere una storia che potesse colpire come un pugno nello stomaco i lettori, e in qualche modo scuotere le coscienze; e poi la scrisse di getto.
Non vedeva l’ora di farla leggere a sua moglie.
Ci sono giorni in cui tutto sembra andare bene, giorni in cui sembra lecito sperare in un futuro migliore.

Andrea cliccò sul tasto che immediatamente inviò il suo pezzo verso migliaia di schermi di cellulari, e con un sospiro di soddisfazione chiuse lo schermo del suo computer, che si spense senza un ronzio, smettendo di colpo di attingere energia dalla sua batteria.

Una batteria piena piena di Cobalto.