Partenze difficili

A me piace tutto, della corsa: allenarmi, sudare, muovermi nella natura, incontrare altri podisti, partecipare alle competitive, trovarmi nella massa alla partenza, sentire l’adrenalina, la fatica, la gioia di arrivare al traguardo o di finire un’ora di training.

Tutto mi piace, della corsa. Tranne partire. Odio, in particolare, quei venti minuti di preparazione prima dell’allenamento.

Fino a un’ora prima, in ufficio, guardavo fuori dalla finestra con aria sognante, immaginando il momento in cui avrei sgambettato nella natura.

Ora, invece, mi trovo seduta sul divano, a fissare lo smartphone nella speranza che qualche notifica mi impedisca di uscire; la natura mi sembra matrigna e la voglia mi è passata del tutto: si sta così bene, qui a casa, e poi sono stanca, mi sono alzata presto e ho lavorato fino a poco fa, sono stata anche ai colloqui coi professori, non potrei rilassarmi con un libro o un po’ di TV?

No, perché so che domani non avrò tempo di allenarmi, e se non lo faccio oggi devo aspettare venerdì, e poi chissà… ogni lasciata è persa.

E so anche che, se non vado, mi butto sul divano e non mi alzo più, e soprattutto so che mi fa bene, che non c’è niente che mi dà energia come un’ora di corsa, che DOPO sarò felice e soddisfatta

Ma siccome continuo a non averne voglia, e uscire ora misembra una punizione bella e buona, prolungo a dismisura la vestizione.

Comincio a trascinarmi da una stanza all’altra cercando un calzino, la maglietta, le scarpe, e indossando tutto con lentezza esasperante.

Mi cambio tre volte guardando continuamente fuori dalla finestra, nell’auspicio che piova (ma che piova forte, ché una pioggerellina non vale), rifaccio la coda che non era venuta bene e poi i capelli mi vanno negli occhi, rifletto se prendere un cappellino o no, cerco un marsupio intonato con le scarpe…

 

 

E poi, fatalmente, sono pronta e mi tocca andare, ma lo slancio ancora non c’è: e allora saluto tre volte i miei figli sperando che mi chiedano di non uscire (e quando mai!), faccio le coccole alla gatta invidiando la sua elegante indifferenza per le cose del mondo (e quindi anche per la mia corsa).

Varco la soglia di casa, mando l’ultimo saluto all’indirizzo dei ragazzi (risposte zero), chiudo con un giro di chiave – ma perché non due, va’ – scendo con l’ascensore,torno su per vedere se ho chiuso bene, riscendo, controllo il Polar, attivo Strava, faccio stretching, dico “buonasera” al vicino, guardo fuori dal portone

mannaggia non diluvia neanche adesso, tocca proprio andare

Vado, va’.

E meno male che vado, perché tutto quello che viene dopo aver fatto il primo passo di corsa, davvero tutto, mi piace da morire.

Martina Chiarani