Il cinema italiano, si sa, ha i suoi problemi. Sono cresciuto con questa cantilena , sto cominciando a invecchiare ma l’orizzonte non cambia: crisi e strozzatura del sistema distributivo, assenza di star system, tendenza a riciclare fenomeni ripetibili fino all’insuccesso, formule trite e ritrite che disegnano un paese spesso scollato dal reale. I nemici del cinema italiano, ormai, si annidano ovunque: negli anni ’80 sembrava dovesse morire per mano del vhs, ma avete mai provato a rivedere venti minuti di un film con Celentano assoluto protagonista e re del box office?
Si tratta di sceneggiature impresentabili, con battute degne di una recita da oratorio di provincia, per cui sarebbe meglio parlare di suicidio del nostro cinema, con un pubblico consenziente, cieco, vessato da una realtà difficile e che andava a rifugiarsi nel buio fondo di una sala veicolo del nulla, poi per la consueta e ritornante “mancanza di storie” (i pallidi anni ’90 ) e l’ incapacità sia di fare film di genere che di uscirci dal genere (commedia media mediocre ).
Arrivando all’oggi, la sala cinematografica è mitragliata da tutte le parti e il prodotto narrativo audiovisivo ( sarà meglio esprimersi così piuttosto che parlare di film) è disseminato e consumato tra home video, web, smartphone, smart tv, computer etc.
Ma la fame di storie è la stessa. Anzi, forse si è decuplicata.
Finché c’è storia c’è speranza, viene da dire, qualsiasi sia il contenitore, il luogo di fruizione, la grandezza dello schermo. Insomma, il tutto è divenuto fluido, senza confini, osmotico. Per un purista della sala buia, è una bestemmia, ma se mi sto abituando anche io vuol dire che i tempi sono maturi per una resurrezione…
Sì, non ha più senso dire che il cinema è solo al cinema, ahimè.
I talenti si stanno disseminando (voce negativa: disperdendo. Voce positiva: invadendo ) e “lavorano” per il cinema come per la televisione.
Un ultimo esempio che fa storia, di un’irriducibile del cinema è quello di Francesca Archibugi. Carriera senza successoni, grande stima da parte degli addetti ai lavori, qualche festival, un esordio che fece ben sperare sul finire degli anni ’80 (“Mignon è partita”), un’idea di cinema in qualche modo spesso, denso, a volte incerto, soprattutto formalmente, ma di indubbia nobiltà.
Ebbene, Francesca Archibugi (attivissima anche come sceneggiatrice), nelle ultime settimane si è sdoppiata tra cinema e tv : “Gli sdraiati” in sala e “Romanzo famigliare” su Rai Uno.
Al primo ha arriso un tiepido successo, e anche quella è un po’ una concessione che la Archibugi, solitamente più autoriale, fa alla commedia, seppur tratta dal libro di Michele Serra, con protagonista Claudio Bisio, bravo, per carità, ma classica icona dell’inconsistenza del cinema italiano delle ultime stagioni. Ma è sul secondo che va fatta qualche riflessione: i dodici capitoli di “Romanzo famigliare” ( che brutta quella g nell’aggettivo, ma pare sia un omaggio alla Ginzburg ) profumano di cinema più di ogni altra opera di Francesca Archibugi. “Romanzo famigliare” non è una summa del suo cinema, ma ci fa vedere quello che la regista romana avrebbe potuto creare se avesse avuto a che fare con tempi più distesi, senza ossequiare la forma film, la sua durata, il suo impianto narrativo e di inquadrature.
Mi rendo conto che mi sto muovendo in un territorio minato e per certi versi mi sento come arreso, ai limiti della blasfemia: personaggi come Emma Liegi, la protagonista interpretata da una straordinaria, verissima, Vittoria Puccini, non avrebbero avuto lo stesso potere al cinema, le sue indecisioni, il piglio, le improvvise virate, l’orgoglio, le lacrime e i rimpianti, l’incomprensione di un mondo inutilmente cattivo, non avrebbero avuto spazio né spessore. Sto dicendo che il contenitore serie tv si sta mangiando il cinema?
Che questi sono tempi più adatti a racconti dilatati che provochino affezione e rassicurazione piuttosto che un “mordi e fuggi” dagli orizzonti più alti? Ancora non l’ho detto, ancora non lo sto pensando, certo è che era da tempo immemore che non si scriveva e si rendeva vivo un personaggio così notevole (e con lei sua figlia Micol, interpretata dalla semiesordiente Fotinì Peluso, meravigliosa nei suoi accenti di verità e velocità).
Bisognerà fare i conti con la Archibugi che abbraccia la televisione, con storie (la fame di storie, la fame di storie, la fame di storie…) come quella appena conclusasi, e con un grande successo, sull’ammiraglia delle reti pubbliche, bisognerà fare i conti con Emma Liegi che già comincia a mancarmi…
Elvio Calderoni