Era il 1936. Nella Germania di Hitler arrivava un atleta afroamericano con il suo bagaglio pieno di allenamenti e tanta voglia di vincere.
Si chiamava Jesse Owens ed è passato alla storia, non tanto per le quattro medaglie d’oro portate a casa, ne per il cenno di saluto ricevuto o meno da Hitler in tribuna d’onore, ma per il grande gesto di sportività e fratellanza che ha condiviso con Luz Long.
In nome della sportività, Long ha perso un oro, ma ha guadagnato dignità sportiva e un buon amico di li agli anni a venire. Un gesto che tutti conoscono e che è passato alla storia.
24 febbraio 2022. Dopo due anni di pandemia da covid 19 che ha costretto la popolazione mondiale a restare dormiente, congelando letteralmente economia, politica e vita sociale al 2019, la Russia sferra un attacco aereo sulla capitale Ucraina, Kiev.
Siamo confusi, frastornati e non sappiamo bene ancora cosa ci stia accadendo.
Dopo il primo momento di sorpresa e stordimento è arrivata la risposta dell’occidente a questa aggressione.
Sanzioni.
Sanzioni economiche in primis, sanzioni politiche, ma anche sanzioni sociali. Lo sport è stato investito da questo vento gelido di guerra, ma sopratutto lo sport che unisce e non divide ne è rimasto congelato.
Gli atleti del paese aggressore sono stati esclusi dalle principali manifestazioni sportive o invitati a competere senza bandiera. Come cittadini del mondo o come cittadini di nessun posto.
Ogni volta che sulla testa di un atleta sventola una bandiera, sulle sue spalle grava il peso del suo paese e non mi riferisco esclusivamente alla performance, all’opinione pubblica, a vincere una medaglia.
Il peso da sopportare è la reputazione del proprio paese agli occhi del mondo intero ed è un peso considerevole.
Lo sport che non fa differenze di colore della pelle, religione, orientamento sessuale, che è una grande famiglia che accoglie tutti sotto la sua ala e mette tutti sullo stesso piano, che ci unisce come se fossimo tutti fratelli viene spostato dal suo piedistallo per essere immerso nel bagno di inchiostro della politica o più specificatamente nella “politica di guerra”.
L’opinione pubblica si è divisa di fronte a una scelta che scinde l’etica dalla politica separando il senso stretto dello sport in valore assoluto, ovvero lo sport che unisce e non divide, dallo sport inteso come strumento politico e sanzionatorio.
In un paese a regime dittatoriale è così, il prestigio fa parte del linguaggio della propaganda, citando le parole del Presidente del Comitato Olimpico Britannico, Sir Hugh Robertson, “Per i regimi autoritari lo sport riveste un’importanza spropositata. L’eventuale impossibilità di competere a più livelli colpirebbe la Russia in maniera significativa”.
Tutto questo è profondamente vero, ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare, a distanza di quasi un secolo dalle Olimpiadi del 1936 il valore dello sport ha investito anche i campi dell’economia e della politica.
È diventato un’arma a carattere sanzionatorio. Impedendo agli atleti di gareggiare sotto la bandiera del proprio paese si impedisce di portare lustro ad un governo che agli occhi del mondo è un aggressore, questo è vero, ma principalmente si impone una sanzione economica tesa a danneggiare sponsor, quotazioni di borsa per quello che riguarda sport di squadra diventati ormai vere e proprie società per azioni, comparto turistico ed accoglienza e tutto quanto muove la piccola economia delle città ospitanti.
Si crea uno stallo nel paese sanzionato che di fatto costituisce un danno economico.
Lo sport che unisce e non divide è in animazione sospesa.
Attende la fine della guerra per tornare ad esistere cedendo momentaneamente il passo al lato economico e politico del suo significato. Tutto questo si contestualizza nella società dell’informazione istantanea. Tutto è incredibilmente rapido, a portata di clic. Tutta questa velocità ha cambiato molto le persone e il loro modo di confrontarsi.
Diventa preponderante una divisione dell’opinione pubblica in poli opposti, favorevoli e contrari, bianchi o neri, buoni o cattivi. La verità non è più nel mezzo, ma comporta la necessità di uno schieramento rapido a favore o contro una decisione politica, un’informazione, una fake news.
Conciliare queste divisioni con il principio fondante dello sport che dovrebbe unire in un dialogo costruttivo tra le parti è molto complicato.
La realtà è che lo sport è solo un granello della quantità di decisioni da prendere in questo momento storico e che qualsiasi decisione inerente la guerra avrà ripercussioni sugli eventi senza alcuna esclusione.
Da solo lo sport non decide nulla, ma insieme a tutte le altre scelte, concorrerà a mettere in chiaro che le azioni intraprese con una guerra e le reazioni conseguenti inevitabilmente modificheranno la vita di tutti negli anni a venire.