L’Inter, un campione e gli scherzi del destino

Questo post, ve lo dico subito, parla di calcio; perciò se non vi interessa il calcio potete tranquillamente lasciar perdere, e saltarlo a piè pari.

Però parla anche un po’ della vita, che è sempre strana e meravigliosa; e potrebbe riservare una sorpresa per chi, pur non essendo appassionato di calcio, avesse la costanza di arrivare fino alla fine.

E poi non parla del calcio di oggi, il calcio della Var e della Superlega, del Covid e delle partite vinte a tavolino.

Parla del Calcio di quando eravamo ragazzi, con personaggi un po’ più ruspanti e meno glitterati, ma forse con più cuore. Beh, sicuramente con più cuore.

Erano gli anni 90 e il calcio era una faccenda tutta italiana: basti pensare che dal 1989 al 1999 in finale di Coppa Campioni –che proprio in quel periodo è diventata Champion’s League- c’è sempre una squadra Italiana.

E non è un caso, perché il campionato italiano era indubbiamente il campionato più bello del mondo, e i campioni di tutto il mondo vedevano l’arrivo in Italia come l’apice della carriera.

Per noi ragazzi era una pacchia: il Fantacalcio era appena stato inventato, e con una tale abbondanza di campioni anche il Presidente più sgarrupato può vantarsi di essere stato – in qualche modo – proprietario di fior di giocatori; e ogni anno nelle Aste del Fantacalcio l’abbondanza dei nuovi arrivi si sposava con la sovrabbondanza di birra: ci si contendeva le stelle internazionali a suon di fantamilioni, ci si inebriava di campioni e di Peroni, concludendo poi il tutto con scambi e accordi che vedevano interessati nomi da capogiro.

E si tornava a casa barcollanti, con in tasca una rosa di 22 giocatori che a leggerla oggi fa venire le lacrime agli occhi.

In questo clima calcistico a dir poco euforico, c’era un uomo che ha incarnato con il suo operare lo spirito del decennio: Massimo Moratti, Presidente dell’inter.

Non c’era bisogno di essere Interisti per volergli bene. Bastava lasciarsi conquistare dal suo approccio Fantacalcistico alla gestione della squadra: tanto cuore e tantissimi miliardi.

Sì perché Moratti, un po’ come se stesse giocando al fantacalcio con i suoi amici ubriaconi, seguiva più il suo istinto che una logica o una strategia; con l’unica differenza che i suoi non erano Fantamiliardi ma soldi veri, presi dall’ingentissimo patrimonio di famiglia, interamente devoluto alla causa calcistica.

Ricordo che ogni estate negli anni novanta, quando il calcio d’agosto languiva e i giornali avevano il problema di riempire le pagine centrali, prima o poi arrivava il momento dello speciale su quanto aveva dilapidato Moratti per l’inter. Verso la fine del decennio nel solito servizio d’agosto si arrivò alla cifra record di quasi mille miliardi: una cifra incredibile, sperperata per vincere pochissimo.

Moratti uno di noi.

E insomma siamo nel 1995 e Moratti era diventato da poco Presidente. Aveva molti soldi e idee bellicose, e aveva disseminato i suoi osservatori in giro per il mondo, a caccia di talenti.

Tra le varie segnalazioni, si invaghì di un sudamericano dai piedi buoni, una tipologia alla quale nel tempo si rivelerà particolarmente sensibile. E prontamente spedì i suoi luogotenenti in Argentina, con l’obiettivo di assicurarsi – a qualunque costo – quel campionissimo agile e veloce con l’innato fiuto del gol: Sebastian Rambert.

Non è facile dire di no ai miliardi di Moratti, così l’Indipendiente acconsentì a privarsi del suo gioiello e l’affare sembrava fatto. Ma proprio prima della firma il procuratore del fuoriclasse fece una mossa a sorpresa, ben nota nel mondo del calcio: subordinò il passaggio all’Inter di Rambert all’acquisto di un altro giocatore, un oscuro terzino in forza al Banfield: o l’inter se li comprava tutti e due, o non se ne sarebbe fatto niente.

La telefonata intercontinentale la immagino più o meno così, con un trepidante Moratti nel suo ufficio a Milano, piedi sulla scrivania, baloon di cognac in una mano e cornetta col filo all’orecchio: “Beh Angelillo, l’abbiamo preso?”

“No Presidente, è sosto un problema”
“Come un problema! Vogliono più soldi?”
“No Presidente, non è tanto un fatto di soldi. Qui si sono impuntati che vogliono per forza darci un altro giocatore, un terzino”
“Ah e com’è? L’avete visionato?”
“Eh no, non ci sono cassette. Pare sia giovane e veloce. Dicono che può giocare sia a destra che a sinistra, ma di più non si sa”
“Mah, sento odore di fregature, questi ci rifilano un magazziniere. O nella migliore delle ipotesi un bidone. Prendiamo tempo: compriamo Rambert e mettiamo sotto osservazione quell’altro; se sa tenere il pallone tra i piedi promettiamo di comprarlo”
“Eh no presidente, o firmiamo per tutti e due o niente. Ma se non lo prendiamo subito rischiamo, perchè su Rambert c’è anche la Juve”
“NO, no, Angelillo, non facciamocelo soffiare il Rambert. Dai prendiamoli tutti e due. Al massimo il terzino lo spediamo in provincia.”

Così gli argentini arrivarono in Italia, e vennero presentati alla stampa, con Bergomi a fare da padrino.

Contemporaneamente furono acquistati da tanti fantallenatori, e se ci fosse ancora il quadernerò di Pier potremmo ricostruire chi di noi li ha acquistati. Ma questa è un’altra storia.

Il fatto importante è che il talentuoso Rambert si rivelerà essere il primo di una lunghissima serie di bidoni sudamericani acquistati da Moratti. Dopo neanche tre partite Ottavio Bianchi lo relegherà in panchina, poi in tribuna, e inviterà caldamente Moratti a sbarazzarsene, perchè del tutto inadatto al calcio europeo; sarà ceduto a dicembre in prestito al Saragozza, entrando a buon diritto nella nutrita schiera dei “Campioni Parastatali” di Mai dire Gol.

E a questo punto giustamente vorrete sapere dove vuole andare a parare questa storia, oltre ad essere un nostalgico amarcord di un Fantacalcio (e di un calcio) che non c’è più. E soprattutto vi chiederete da dove dovrebbe evincersi in questa storia scuncignata la stranezza e la bellezza della vita.

Beh per capirlo dobbiamo guardare chi c’è nella foto dall’altro lato di Bergomi; dobbiamo spostare la nostra attenzione dal funambolico attaccante con i capelli alla moda e conteso dalle big europee, e concentrarci sul giovane terzino con la faccia pulita e i capelli con la riga, arrivato in Italia per uno scherzo del destino.

E scopriremo uno dei più grandi campioni che ho avuto l’onore di veder giocare, un esempio inarrivabile sia come Uomo che come Sportivo. Uno dei pochi giocatori capaci di guadagnarsi il rispetto di tutte le tifoserie in tutti gli stadi d’Italia.

Un calciatore che è arrivato ai vertici del calcio mondiale non per eccezionali doti tecniche, ma per la sua straordinaria propensione all’impegno, al sacrificio, alla lealtà ed al coraggio, che lo hanno reso Capitano ed indiscusso punto di riferimento della sua squadra per i venti anni successivi: Javier Adelmar Zanetti, detto “El Tractor”.

La vita è strana, ma a volte sa essere davvero meravigliosa.

#StorieDaCaffè