Lezione n. 38: Nove volte

Ogni manifestazione ha il suo atleta simbolo, afferma Gastone Breccia nel suo manuale “La fatica più bella”.

Parafrasando, potremo dire che ogni podista amatoriale, che ami la lunga distanza regina, ha un suo riferimento atletico al quale si ispira.

Molti pensano a Re Giorgio, altri a Mo, altri si ispirano a leggende del passato, tra cui anche velocisti come Jessie Owens, o come Tommie Smith, con i quali la corsa ha assunto il valore dei diritti civili.

Ma nell’amore indistinto che provo per gli atleti che si sono cimentati nelle varie discipline della corsa, c’è una donna che brilla più di tutti nel mio cuore.

Si tratta dell’atleta simbolo della maratona di New York, una norvegese, che correva veloce come una dea e a cui una vittoria sola non poteva bastare.

Grete Waitz corse la sua prima maratona di New York nel 1978, quasi per caso, dopo aver vinto molte gare, e relativi premi, nelle medie e lunghe distanze sulle piste di atletica.

La corse stabilendo il record mondiale per quell’epoca, e subito dopo aver tagliato il traguardo, il pomeriggio stesso del giorno della gara, non voleva altro che tornare in Patria per ossequiare i suoi obblighi di insegnante.

Ma la teatralità della macchina americana la travolse e si ritrovò, la mattina dopo la maratona, negli studi televisivi newyorkesi, dove apparve agli americani modesta e umile … come se in fondo correre una maratona, la più famosa al mondo, e stabilire un record mondiale, non fosse poi nulla di così speciale.

Il suo comportamento pacato e privo di autoglorificazione non mi sorprende, pensando ai Paesi Scandinavi, dove la vita è costituita da gioie sincere ma relative, senza mai perdere di vista la fragilità delle nostre esistenze.

Nel tempo, Grete non mutò mai atteggiamento, pur diventando più cosciente delle porte che la maratona le aveva spalancato e che le avrebbero permesso di vivere con i proventi dell’atletica; aspetto che non aveva mai considerato, partendo dall’assunto che dopo la gara del 1978 a New York, la premiarono con soli 20 dollari e la copertura delle spese.

Grete convinse il mondo che una donna poteva tenere il ritmo di una seria e serrata disciplina, che poteva resistere sulle lunghe distanze al pari o anche meglio degli uomini.

Divenne un simbolo per un mondo femminile che iniziava ad allacciarsi le scarpe da corsa e che, così facendo, ogni mattina, rinnovava sul passo, la promessa di una emancipazione che nella maratona trovava uno dei suoi esempi più indiscutibili.

Seria e concentrata, con i capelli legati, correva costante un passo veloce, che la condusse a vincere la maratona di New York ben nove volte tra gli anni 70 e 80.

In particolare, nel 1980 stabilì ancora il record della gara in 2h, 25’ e 42”.

Si ritirò nel 1990, aveva 37 anni, ma la sua leggenda continuò a vivere, così come vive ancora oggi che non c’è più.

Se avete voglia di emozionarvi, se avete bisogno di una musa, di qualcuno che vi traghetti verso la sponda dei vostri sogni, andate a Oslo, al Bislett Stadium, dove è stata eretta una Statua in suo onore.

Oppure, meglio ancora, indossate le vostre scarpe da corsa e andate a fare il vostro lungo nella zona della foresta di Nordmarka, oppure nella baia di Frognerkilen, dove Grete si allenava insieme al marito e al fratello.

Io la vedo li, davanti a me, mentre mi accorgo dei primi dolori muscolari nelle sedute di allenamento più impegnative: vedo la sua nuca, liberata dai capelli, stretti in due codini ipnotici che ballonzolano al ritmo dei suoi piedi.

Sento la sua forza, la respiro nell’aria che ha respirato anche lei, e sorrido, pensando a quel traguardo che nella umiltà del mio essere una podista amatoriale, taglierò senza alcun dubbio.

Buone corse

Chiara Agata Scardaci

 

 

 

 

 

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