Crisi, da diversi chilometri.
Da prima del trentesimo e non c’è verso di fermarmi.
Insisto, devo proseguire, devo finire la corsa, devo tagliare il traguardo… devo…
Il trentunesimo kilometro è dietro le spalle e ho percorso ormai più di un terzo della maratona.
Crisi, ho sbagliato qualcosa ne sono certa, da qualche parte ho seminato un errore o forse più di uno.
Non è raro che un essere umano sbagli, di cosa mi meraviglio?
Insisto ancora e di nuovo, ma non è sano.
La mia postura è andata a farsi benedire, sto correndo male; la mia andatura, quell’equilibrio tutto personale tra velocità e distanza, è morta nello strascico dei piedi.
Crisi, l’ombra del fallimento.
Non sto più correndo, è una finzione, una pantomima.
Con una consapevolezza offuscata dal dolore fisico sento che il coraggio che ho sempre avuto mi servirà per qualcosa di diverso dalla medaglia che ho sognato…
La corsa di resistenza è dura, è senza perdono, e in alcuni casi, bisogna essere saggi.
Crisi … è così devo fermarmi … non posso proseguire.
E’ una sconfitta, ho perso la sfida e non mi piace.
Sono in lacrime, sono disperata, non voglio smettere di correre, non voglio rinunciare.
Contro di me, contro la mia volontà, il corpo fa quello che deve seguendo la mente che comanda uno stop necessario come la sopravvivenza; una mente che con matura lucidità non insiste nel fallimento ma si piega accogliente nell’accettazione di questo tracollo, unica via per superarlo.
Ma lei lo sa, io no, io urlo.
Urlo, il petto si squarcia, i pugni si serrano, e le gambe, infine, si fermano.
Appoggio le mani sulle ginocchia e prendo atto che la mia corsa è finita.
Il mio cuore è morto.
Io sono morta, da qualche parte non esisto più.
Cammino zoppicante per raggiungere il prossimo ristoro a poche centinaia di metri davanti a me.
Piango ancora. Molti corridori passando pronunciano parole consolanti e di stima, mi danno pacche sulla spalla o fugaci carezze sulle braccia.
Poi, la intravedo.
Nel bruciore degli occhi inondati dal sudore, nel delirio di una scelta che nessuno vorrebbe fare, si affaccia la proiezione di questa esperienza.
Il mio cuore batte e si rannicchia singhiozzante in quella visione di speranza.
Domani, c’è un domani che mi attende, oltre questa maratona non compiuta.
Ora è tempo di assaporare la resa.
Ora è tempo di riposo.
Ora… voglio solo una birra…
Chiara Agata Scardaci