Lezione n. 27: la maratona è ovunque…

Tutti i grandi campioni hanno qualcosa da insegnare… e oggi a parlare per me è uno degli aneddoti della vita di Gelindo Bordin.

E’ storia dell’atletica la sua vittoria alla maratona di Seoul, nel 1988, che lo vide conquistare il titolo olimpico con una pervicacia invidiabile e per il quale venne ribattezzato dal giornalista Gianni Brera “l’uomo della Pianura

Ho rivisto diverse volte il filmato della vittoria, godendomi il sorpasso di Wakiihuri e di Saleh, osservando il volto sfigurato dell’atleta italiano, emozionandomi e sperando con lui, ogni volta, come se non conoscessi l’epilogo della sua corsa, che tagliasse il traguardo conquistando il primo posto…

E’ un arrivo indimenticabile, condito dalla telecronaca di un Paolo Rosi più che appassionato, un video che mi regalo in segreto per alimentare la fiducia in quello che verrà; un anestetico nelle giornate dolorose della vita che, forse troppo spesso, coincidono con quelle in cui non ho voglia di correre oppure non posso.

Gli anni successivi dell’atleta vicentino, furono costellati di vittorie fino a quando nel 1992, partecipa alle olimpiadi di Barcelona senza riuscire a concludere la gara della distanza regina.

E’ una maratona sofferta caratterizzata da un errore banale, che compromette definitivamente la performance:  rimane, purtroppo, “ingabbiato nella bagarre del primo rifornimento” quando davanti ai tavoli dove sono riposti gli integratori degli atleti, Gelindo, nell’intenzione di rallentare il meno possibile evitando l’intasamento, scarta di lato all’improvviso, procurandosi un infortunio alla gamba sinistra: la rottura del menisco.

Prosegue la corsa fino al 30 km quando, in lacrime, alzerà bandiera bianca dichiarando alla stampa “avrei preferito arrivare, anche con gli ultimi, magari soffrire fino al km 39, per poi morire li.”

Pochi secondi di distrazione, un movimento sbagliato, improvviso, una pericolosa assenza mentale, un buio inconsapevole e i mesi di preparazione, la fatica degli allenamenti, i sacrifici quotidiani vanno a farsi benedire senza appello.

L’esperienza di Gelindo ci insegna che anche dopo lo sparo del via, non bisogna mai abbassare la guardia, mai distrarsi se non a traguardo superato, con la medaglia al collo,  quando la parola fine è davvero pronunciabile.

Certo, starete pensando che Gelindo ha avuto una bella dose di sfiga e ne sono convinta anche io.

Ma in un’intervista del 2018, molti anni dopo l’infortunio, alla domanda di Enrico Sisti “Dove risiede la maratona, nelle gambe, nella testa, nel cuore, nei polmoni?”, Gelindo risponde che: “La maratona è ovunque. Ha una componente spirituale che nessuno vede ma è cruciale.”

Quest’uomo dal grande coraggio, che ha visto sfumare una possibile ulteriore vittoria nel gesto distratto di qualche secondo, ci regala così un’altra perla di saggezza. Perché se è vero che non bisogna mai abbassare la guardia, è pure indubbio che nell’accettazione del non conosciuto, bisogna sempre affidarsi a quella spiritualità in cui risiede anche la maratona, affinchè ci protegga dai limiti dell’imprevisto, tipici della nostra natura.

Grazie Gelindo

Con stima, Buone corse.

Chiara Agata Scardaci