La Storie Ricorrente 34 a puntata

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-Ehi

-Ti disturbo?

Lo sfondo di Federico è un’aula universitaria.

-No, sono in anticipo e stavo radunando i materiali della lezione. Ormai sono un vecchio accademico. Tu dove sei? Ancora a Milano?

-Sì, da Bertrando.

-Come mai questa telefonata alle prime luci dell’alba?

Lei lo guarda e sente la velocità delle parole di Alessandro, il ritmo identico, l’accento uguale, la leggera scostanza nell’ironia la stessa. E lo sguardo, lo sguardo, questo sguardo che parla a chi vuole ascoltarlo magari inventando cose che non esistono, come quando si è innamorati e si idealizza qualsiasi respiro.

-Perché volevo dirti una cosa banale. Banale ma vera.

  • Dimmela. Hai una luce stamattina veramente bella, Irene. E forse è meglio se te la dico io che ti tolgo da ogni impaccio. Ti sei finalmente innamorata. E questo non cancella Alessandro, anzi. E no, non devi sentirti in colpa o chiamarmi come per chiedere un permesso. Il nostro pianto non smetterà mai. Ma sarai più felice. Sarai diversa. Sarai quasi completa.

Federico ha le lacrime agli occhi. Son passati tanti anni dalla morte di suo fratello, ma sembra un quarto d’ora. Ad Irene cadono le lacrime sulle guance e poi sugli angoli della bocca.

  • Abbiamo pianto tanto. Adesso basta. Adesso è il momento di vivere con lui ma senza. Ricordati quello che ti scrisse sulla parete della vostra casa. Làsciati senza fiato. E’ il momento giusto, Irene.
  • E’ difficile lasciarsi andare, è difficilissimo, non è da me.
  • Non ha senso, Irene. Non puoi dire che amare non è da te. Non puoi nemmeno pensarlo. Chi è lui?
  • Si chiama Tomaso.
  • E non somiglia per niente a noi
  • No, non vi somiglia. Ma non è nemmeno così diverso.
  • Che cuore ha?
  • Beh, è incisivo. E’ martellante, ma misurato. E’ pieno di luce, di vita. Ha interessi in tanti campi.
  • Suona?
  • No.

Si guardano pieni di sottintesi, sono silenzi sui volti che parlano del tempo passato. Della gelosia che li animava l’uno contro l’altro, della reciproca sopravvivenza dopo la morte di Alessandro, di questa relativa complicità di oggi, nella distanza e nel rispetto.

  • Si ma non sparire, eh?
  • Ma sei matto… come farei a sparire?
  • Non metterti in trappole gelose del tipo che questo Tomaso non gradisce che tu abbia rapporti con la famiglia di Alessandro. Questo no. Di questo il permesso non posso dartelo.
  • Non te lo chiederei mai perché sono io a non volerlo.
  • Mi raccomando. Si dice così ma poi si fa altro.
  • Non credo che Tomaso lo chiederebbe mai a me. E se me lo chiedesse non potrei mai ascoltarlo.

Irene sorride all’idea, certa che non accadrà mai. Si sente più leggera. Ci sono passaggi così scontati nella vita che hanno, in loro, il crisma della necessità e lo sguardo di Federico vale più di cento porte che si aprono e portano dritte al cuore. Stare con Alessandro stando senza.

Stare con Tomaso senza dimenticare mai Alessandro.

Senza le gelosie retroattive dei dementi, senza paragoni di intensità, senza fiato, però, ancora una volta.

Irene chiude la telefonata, versa l’infuso ancora tiepido nella tazza e risponde a Tomaso:

Di solito soppeso le parole.

Di solito rifletto settimane prima di prendere una decisione.

E per questo risulto a volte algida e difficile, altre volte soltanto riflessiva e indecisa.

Sento di voler fare un’eccezione per te. Di prendermi questo impegno emotivo prima che artistico. E accetto con tutto il cuore di provare a fare l’altra metà del quadro.

Perchè te lo meriti.

Perchè me l’hai chiesto con tutta la naturalezza del mondo, come fosse una conseguenza necessaria.

Perchè mi stavi cercando per questo prima di conoscermi per caso.

Perché mi fido di te, perché mi sto fidando di te ogni minuto di più.

Perché non voglio farmi convincere ma essere convinta io, direttamente.

Perché probabilmente verrà fuori un mezzo schifo e mi chiederai di tenermelo per me.

Perché ho passato un giorno meraviglioso, pieno di vibrazioni che non provavo da tanto tempo.

Da millenni.

Perchè ho voglia di vederti anche subito.

Cosa fai a pranzo?

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.