La Storia Ricorrente 49a puntata

Victoria entra nello studio di registrazione mentre Cristiano parcheggia l’auto nei pressi e mentre Bertrando la sorprende nell’atto di citofonare:

-Ehi, sono in anticipo?

-No no, entra pure. Vado giusto a prendere una boccata d’aria, sono lì dentro da stamattina. Prova con Leandro il delay e il resto. Non l’autotune, eh!

-Dici che non ne ho bisogno? Non ne sarei così certa.

-Piantala, a più tardi.

Bertrando non entrava nello studio a Isola dall’ultimo disco insieme a Marko. Era una strana sfida quella di incidere, quasi di nascosto, un paio di brani insieme, dopo che non cantavano insieme da almeno vent’anni. Tornarci gli sta pesando più di quanto pensasse e il poster di Marko nell’atrio non l’ha aiutato. La foto l’aveva scattata lui – quanto contano gli autori delle foto, quanto si nascondono, quanto svelano – ed era venuta particolarmente bene. Lo sguardo ispirato, si disse. Lo sguardo dell’attenzione, quella che Marko regalava a parecchi togliendo il filtro da ogni comunicazione sin dal primo istante. Una magia che sembrava scritta da uno sceneggiatore in stato di grazia, a cui l’interlocutore si adeguava immediatamente.

C’è nostalgia mentre si avvicina al bar dove andava con Marko quando registravano, mentre percepisce che il cielo sta cominciando a piovere un’acqua benefica e sottile, ma c’è anche, ancora, il sapore del confronto e della sfida. Sono mai stato in grado io di attivare il mio interlocutore portandolo a un livello più alto della conversazione? Di elevarlo grazie al ritmo delle parole, alle scelte del lessico, alle pause e alla combinazione tra sguardo e parole?

Quanto c’è stato di sfida in noi, quanto di rivalità, quanto di amore non competitivo?

-Buonasera.

Cristiano irrompe nel suo quadro visivo, il suo sorriso grato è la prima cosa che Bertrando coglie di lui.

-Ciao. Victoria è già in sala.

-Ah, mi ha riconosciuto?

-Sì, penso di sì. Non potevi che essere tu. Victoria mi ha parlato molto di te. Del tuo aspetto solido.

-Ah, beh, giusto l’aspetto.

-Non ti senti solido quanto il tuo aspetto?

-…no, non sono solido. E non so quanto il mio aspetto dica il contrario.

-Sì che dice il contrario e lo sai benissimo.

Elevare l’interlocutore, portarlo a un livello ulteriore. Trovarlo insieme.

-Prendiamo un caffè?

-Stavo proprio andando al bar. Lì, oltre il semaforo, c’è quello dove andavo quando registravo qui anni fa.

-Con Marko Taglia?

-Sì, anche con Marko.

-Posso dire una frase da fan?

-Certo.

-Ho tutti i vostri dischi. Sia le musicassette che i cd. Mi manca giusto qualche vinile.

-Ah, un collezionista quasi serio

-Sì. Altra frase da fan: sono cresciuto con le vostre canzoni.

-Quanti anni hai?

-Quarantatré.

-Sei più vecchio di Victoria.

-Sì. Quattordici anni in più. Quasi quindici.

-E’ un amore grande, eh?

Cristiano lo guarda e sente che sta per scoppiare. Forse in lacrime, forse in parole, ha compresso troppo l’intensità delle ultime settimane. Ha compresso l’inganno, l’illusione, l’abbandono, la mancanza, il vuoto, il bisogno, la nuvola, la vetta, il precipizio, il lampo prima del tuono, e la tempesta e l’insurrezione e la volontà e il dovere e il dubbio e l’incanto e l’atterraggio brusco e il decollo e poi di nuovo l’atterraggio.

-Sì, grandissimo. Mai provato prima. Non ne posso più.

Bertrando vede le guance di quest’uomo solido tremare. Gli angoli della bocca piegarsi all’ingiù, coglie il momento dell’orlo, della tracimazione, capta che Cristiano sta per traboccare.

-Cosa te la fa amare così tanto?

-Tutto. Ogni cosa che guardo di me mi parla di lei. Mi guardo allo specchio e non c’è nulla che non mi riporti a lei. Le mani, le mie mani… è come se gridassero il suo nome. E anche gli occhi. Tenerli aperti mi sembra un’idiozia se non c’è lei a guardarmi. Uno spreco.

Le lacrime cominciano a scendere.

-Uno spreco. Bellissimo.

Bertrando si rende conto che Cristiano non è da elevare a nessun livello ulteriore, è già altissimo, e sfaccettato e confuso e pieno.

-Stai soffrendo molto?

-Moltissimo.

-Come lo prendi il caffè?

-Nero.

-Un deca e un espresso. Ci sediamo qui.

Bertrando sceglie un angolo con poca luce, registra il freddo della superficie di legno chiaro del tavolino, Cristiano si toglie le lacrime dalle guance.

-Io non posso farne a meno, Bertrando.

-Non devi farne a meno. Ho qualche anno più di te e le persone emozionanti nell’arco di una vita si contano sulle dita di una mano. Non devi perderla.

– Io non mi ero mai emozionato così tanto. Non credevo fosse possibile, te lo giuro.

-Non devi perderla, Cristiano.

-E come faccio?

Si guardano, non c’è bisogno di dirsi nulla.

-Devi parlare con Victoria.

Cristiano lo guarda. Sorride oltre le lacrime. Lo abbraccerebbe.

-E cosa le dico? Che il nostro matrimonio finisce prima di cominciare? Prima di iniziare le abitudini, la routine, di ipotizzare dei figli, di stabilire una naturalezza, una fedeltà…

-Trovi sia una strada realmente percorribile se ogni sera che vai a letto pensi a un’altra persona? Dici che a Victoria può servire un matrimonio così?

-Lei mi ama.

-Falla smettere prima che arrivi ad odiarti. Siete due persone intelligenti e tanto tanto diverse. A volte l’intelligenza non basta e le differenze vengono a galla prima delle affinità. Forse Victoria ha solo sbagliato i tempi.

-Non mi perdonerà mai.

-E tu non perdonerai te stesso se rinunci all’amore. Non ti perdonerai mai. E lei sarà solo l’emblema della tua sconfitta. A meno che… non presumi che ti possa passare. Che sia un capogiro, non so, una febbre passeggera.

-No, nessun capogiro.

-E allora basta comprimersi, basta nascondersi. C’è da diventare matti. Non te lo meriti. Finisci il caffè e vai ad avvertire entrambe. Lei è di Milano?

-Sì. Abita.. vicino a noi.

-E non l’avevi mai incontrata prima?

-Mai.

-E’ una stagione buona per gli amori importanti.

-Anche per gli amori difficili.

-Come l’hai conosciuta?

-Inseguiva un fenicottero e voleva riportarlo dentro villa Invernizzi. L’ho aiutata.

-E’ un film?

-La verità. L’ho conosciuta qualche giorno prima di sposarmi.

-La donna giusta nel posto giusto

-Nel momento…

-Giusto, fidati.

-Eh, insomma..

-Se ti ha devastato, è il momento giusto. Veniamo al mondo per farci devastare, non pensi?

-Non lo so.

-Non penserai mica che si viene al mondo per essere sereni? O per vivere dignitosamente?

-Nemmeno devastando, però.

-Non puoi farne a meno se sei devastato tu, da un’altra persona. Dai, andiamo, ci sono due donne che stanno aspettando notizie da te.

Cristiano lo guarda negli occhi e non c’è nemmeno bisogno di dire grazie. Si alza quasi volando, dritto verso gli obiettivi appena focalizzati, convincendosi che quello che sta andando a fare renderà felici e liberi almeno tre esseri umani.

Tomaso sta per premere invio sul telefono dopo aver riletto tre volte e corretto e tagliato e aggiunto il messaggio per Irene:

Cara Irene,

credo che, come già hai detto tu, siamo andati troppo velocemente e abbiamo creduto ad un sogno troppo bello per essere vero. Non so perchè e non so come ma le cose cambiano e lo spazio che avevamo fatto per noi adesso sembra essersi occupato, non so da cosa né da chi, forse dai dubbi o dai fantasmi del passato, dall’insicurezza? Non lo so, so che io non posso andare avanti per tutti e due e che, soprattutto all’inizio, vorrei respirare la stessa sete di me che io ho per te. Siamo all’inizio, Irene. Dovremmo vibrare, io sento per te tutto l’amore del mondo, non mi è mai capitato nulla del genere, sono sempre stato guardingo e sospettoso, ben attento a non fracassarmi il cuore e a non spezzarlo agli altri. Qui, invece, il cuore ha aperto tutte le porte ed è stato un fatto necessario, una cosa naturale, impossibile da mandare indietro. E a conti fatti, forse, non è stato un bene. Fall in love, cadere in amore, la solita cosa, il consueto copione a cui uno non crede finché non ci cade lui. Il tuo essere evasiva, le tue pause, i tuoi silenzi da quando siamo tornati da Sanremo sono il contrario di quello che dovrebbe esserci tra due innamorati. Sono andato troppo veloce, ormai è evidente e mi sto sintonizzando con la tua caparbia cautela. Facciamo che ci risentiamo tra un po’ di tempo?

Il polpastrello del pollice sul pulsante invio, il tocco che viene frenato dalla vibrazione:

-Ehi, Tomaso?

-Irene…

-Dove mi porti stasera?

Elvio Calderoni

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.