La Storia Ricorrente 45a puntata

Perché non tratteniamo l’amore?

Perché non ci ricordiamo la figura, la misura, i colori che ha, il profumo che ci riempie, perché non ce lo portiamo dietro fino a farcelo bastare?
A sentire che è vero, a sentire che è la ragione per cui veniamo il mondo? E invece no, non basta mai, dobbiamo sempre confermarlo, conservarlo, trattenerlo, incamerarlo. Creiamo il vuoto più grande possibile in un’anima, una camera gestazionale preparata con tutti i colori del mondo per accoglierlo.

E se manca, il vuoto che perfora. Che gioca a dadi con noi, come il suo sorriso gioca a dadi col nostro. Sulle tempie, alla finestra, Georgia sente il cuore sballonzolato che batte. Batte in testa, batte sulle vene delle mani, costruisce e distrugge ad ogni battito, c’è da impazzire, c’è da chiedere al cielo di smettere di pensare, di smettere di amare, di smettere di esistere.

Trema.

Non ne può proprio più.

Ha chiesto troppo al suo cuore. La mente chiede vendetta, chiede giorni normali, chiede tavoli di progetto, chiede zone confortevoli in cui interagire. Chiede sguardi consueti e divani, case ospitali e la fine dei soprassalti. Basta con le bombe al napalm, i contrattacchi e i combattimenti, le ragioni del cuore che opprimono e sovrastano tutte le altre. Voglia di fuggire, di tornare alla sede del partito, di ricominciare a combattere per i diritti civili, per i principi che l’hanno sempre animata, di litigare con le vene che non fanno male per la troppa pressione, perché nessuno mette in discussione l’anima ma soltanto le idee. La mente e non il respiro.

Mettere in discussione il respiro.

Questo ha fatto Cristiano.

Ha messo in discussione, sta continuando a farlo, la mia stessa esistenza.

Il mio stesso battere del cuore.

Lo vedi, Cristiano, non batte più?

Lo vedi che cosa mi hai fatto?

E tu? E tu stai bene?

Credi che ci stiamo facendo bene davvero?

La fronte al vetro, le tempie che scoppiano, fissare la finestra di fronte che sembra accendersi e spegnersi e accendersi da tutto il pomeriggio, il tempo immobile, la sospensione priva di desideri, la nebbia come una cappa che si posa su Georgia Joanna e il citofono che la fa tremare di nuovo, i vetri stessi vibrano, le vene delle tempie quasi rimbalzano.

-Sono io e lo sapevi.

La voce al citofono di Cristiano la devasta. Il cuore che sanguina è l’unica immagine che ha davanti.

Immagina nuovamente, è a pochi passi e sta salendo le scale, un altro percorso cruciale, un altro sommo bene, una vetta raggiunta che poi precipita in una gola nera, un antro silenzioso e disumano. Ancora.

Once more.

Eppure.

Eppure.

Eppure.

Il copione si ripete:

le braccia che si ritrovano, toccano pieni e vuoti, si incastrano ed è una sorpresa pensare che non lo fossero prima d’ora, nessuna parola, soltanto sguardi sguardi sguardi che promettono che aprono che amano.

Promettere

Aprire

Amare

Amare

Aprire

Promettere

Amami.

Lo sto facendo da tutta la vita.

Non parlano, non hanno il tempo, non hanno l’urgenza di promettere con le parole, hanno il buon senso di non farlo, fanno lo slalom con il senso del ridicolo che gli andirivieni hanno prodotto in questi giorni anche in due cuori sconvolti come questi.

Si fanno l’effetto di una droga reciproca. Si studiano l’effetto con gli occhi e con le mani.

La città li accompagna da fuori la finestra.

Ci sono milioni di persone lì fuori che si stanno cercando o si stanno sfiorando o si stanno perdendo o non si stanno piacendo più.

Che non si stanno fidando, che si stanno tradendo. Che si son già tradite. E hanno altre mire, altre priorità.

Se la priorità è il respiro, allora devi essere tu.

Se la priorità è il respiro, allora devi essere tu.

Hanno sulle labbra la stessa frase, se la dicono baciandosi. E nessuno dei due scommette su domani, nessuno si arrende a non averlo un domani, rapiti ma consapevoli.

Elvio Calderoni

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.