La Storia Ricorrente 43 a puntata

Milan, 2015 panoramic skyline by night

Georgia Joanna è uscita in strada per decomprimere le difficoltà che tornano a far capolino ogni volta, e ogni volta di più, che stare con Cristiano le sembra la cosa più bella, l’unica da vivere, la possibilità, l’occasione, la scelta necessaria.

Ogni volta che si ritrovano è più bello e doloroso e indispensabile di prima e ogni volta che qualche passo dovuto li fa allontanare è più brutto, e non è doloroso, bensì è proprio il dolore che si materializza, il dolore per antonomasia, il fastidio, il brusìo che diventa vociare e che diventa urlo, un urlo non detto, un magma non sedimentato, un detrito assoluto.

E ritrovarsi per le vie di Sanremo a non poter prendere una decisione, a non poter contare sulle braccia e sul volto dell’altro, a sentirsi sbagliata straniera in fuga, persino esule, è una sensazione pesantemente brutale. Una ferita forte.

E l’intuizione senza bisogno di parole che lui deve, in questo momento, essere altrove, perché non può essere suo e forse non potrà mai. L’impotenza che ne deriva segna il passo ad ogni passo incerto di Georgia Joanna, mentre finge di guardare le vetrine dei negozi e sembra la copia pallida e inutile di lei che cammina salda per le vie del quadrilatero del silenzio ostentando la sua sicurezza, la sua età, la sua bellezza e la sua storia. Le sembra di ricominciare l’ennesimo viaggio tra la felicità e l’inferno, un vortice che la sballonzola a ritmi sempre più insostenibili tra l’illusione e il vuoto.

Si sente scoperta, sempre più piccola, come non si è mai sentita e come non vuole sentirsi.

E’ proprio questo l’amore delle pagine che non capivo? Quell’inutile mistura di sentirsi inadeguati e in perenne tensione? Quel che ho sempre guardato sui volti degli altri con commiserazione? Ho visto volti perforati dall’amore, inferni su una testa, l’impossibilità di pensare che ci sia altro, il tarlo che annulla tutto il resto e ho sempre detto mai mai mai.

Cadere nell’amore, inchiodarsi a terra, annullare sé stessi per un’assenza, desiderare nient’altro che quest’abbraccio mancato, essere pienamente e troppo consapevoli che solo lui potrebbe cambiare la scena, battendo il ciak della sequenza successiva, dettandone il modo, il tempo, lo sfondo, la modalità.

Cristiano è stato praticamente prelevato dai genitori di Victoria per assisterli nella personale ricerca di lei, sorpassando a destra le inutili indagini delle forze dell’ordine Ma non ti sei reso ancora conto che la stanno trattando come una ragazzina capricciosa e che stanno prendendo il tutto come una bravata? L’hai capito che non la sta cercando davvero nessuno? E che potrebbe essersi messa sul serio in pericolo? Come fai a non capirlo?

Come fai ad avere questa faccia catatonica, Dio Santo?

La madre lo sta bombardando di lampi con lo sguardo, tutto il disprezzo malcelato nei confronti della scelta di Victoria di sposarlo sta venendo fuori con preoccupazione e rabbia. Il padre lo sta ignorando, invece, come se si trattasse di un impaccio inutile, un non protagonista assoluto ed accessorio, sia di queste ore che nella vita della loro famiglia. Un matrimonio che non è durato nulla.

Prova a cercare Georgia Joanna ma è un incubo dentro l’incubo. Non gli risponde, non visualizza, non scrive. Siamo tornati di nuovo a qualche giorno fa. Percorso identico, dolore triplo, salto mortale nel vuoto di quello che c’era fino a poco fa. La mamma di Victoria ha appena realizzato un piano di ricerca personale, mettendo in moto una macchina privata da combattimento: ci sono almeno quattro gruppi che stanno perlustrando Sanremo e dintorni e un quinto è già a Milano. Cristiano sente crescere la sensazione di non appartenenza che possiede sin da bambino: irrigidirsi ogni volta che attorno a sé succede qualcosa di non condivisibile, di troppo diverso nello stile e nella sostanza. Di brutto.

Isacco si è riaddormentato subito dopo aver mangiato. Victoria è ripiombata nel sonno subito dopo. Sembra non dorma da mesi. Tomaso li guarda dormire e decide in un istante:

-Irene?

-Ehi.

-Qui a casa mia c’è Victoria.

-Victoria? Come?

-Sì. E’ venuta qui.

Irene sente un gelo dentro e fuori di lei, la stupidità della gelosia e della non comprensione, di uno scenario surreale che diventa vita all’improvviso quasi fosse una morte inattesa, un evento incontrovertibile, uno scacco matto.

-E’ spaventata a morte e ha con sé un bambino. Io devo avvertire i suoi genitori, suo marito, devo farlo, a quest’ora staranno smuovendo l’Italia per trovarla. Non posso perdere altro tempo anche se lei mi ha chiesto di non farlo.

-Ma quando è arrivata?

-Non lo so, sarà passata qualche ora.

-Perché me lo dici solo adesso?

-Non lo so, scusami. Ero confuso. Non capivo nulla, tuttora non sto capendo nulla. Victoria non ha sedici anni. Ma è come se li avesse e devo andare contro la sua volontà.

-Ma chi… perché ha un bambino?

-Non lo so, non so nulla, so che volevo dirtelo e che mi è pesato non avertelo detto prima. Non so che fare, in realtà.

-Chiama la famiglia, chiama il marito.

Irene si sente subdola e piccola. Il consiglio più ovvio ma anche il più veloce per spazzare via qualsiasi traccia di complicità tra loro due. La stupidità della gelosia, il balbettìo, la croce.

-Oppure non so, non chiamare nessuno.

-Ho chiamato te infatti. Per chiederti un consiglio.

Irene guarda Sveva che continua a riposare, non sa nemmeno se è notte se è l’alba se è tardo pomeriggio. Il silenzio che pervade l’appartamento e la scarsa luce farebbero pensare ad un imbrunire avviato.

-Perché non mi rispondi?

-Non lo so. Mi sento un po’ indefinita. Come se non esistessi più. Come se stessimo recitando.

-Eh?

-Come se la vita vera fosse Victoria che viene a casa tua e invece noi due fossimo una parentesi stupida.

-Una parentesi stupida? Ma che stai dicendo?

-Forse è accaduto davvero tutto troppo in fretta.

-Ma perché stai parlando cosi?

-Perché mi sto sentendo male. Lei che arriva a casa tua e che evidentemente… insomma, cerca te, viene da te, ti trova, tu la nascondi mentre mezzo mondo la sta cercando e non… e ti chiedi se sia il caso di avvisare il marito, la famiglia… ma che film è? Sembra… sembra. No, ok, basta, mi stai costringendo a dire cose così banali, così…

-Irene, fermati. Il film lo stai facendo tu. Non so perché sia venuta da me, forse proprio perché non ci sentiamo da anni. Forse perché per lei rappresento un tempo passato in cui non era ancora così nota, non lo so cosa le stia passando per la testa. La scelta di Bertrando l’ha fatta sballare.

-Forse era già a buon punto, per sballare.

-Ma sì, forse sì, non lo so, io non la sentivo da anni, te lo ripeto. So che teneva tantissimo a Sanremo ma lo so dalle interviste, lo so perché lo diceva sempre, che cantare era il suo sogno, aveva questi sogni di provincia, il teatro Ariston, la gara, i cantanti, queste cose qui. Bertrando deve averle interrotto il sogno.

-Bertrando non ha interrotto nessun sogno, ha semplicemente capito che stava dando in pasto ai leoni di Victoria i suoi sentimenti e che ci sono mondi che è bene non si incontrino mai.

Irene alza il tono, si guarda intorno per capire se Bertrando la sta ascoltando ma non sente nessun rumore, sta canalizzando la rabbia verso le certezze emotive di questo momento, non ammette che dopotutto si possa dire che Bertrando abbia qualche colpa, sente che il legame tra lei e Tomaso sia fermo a mille pagine di vita fa.

-Non so di che mondi stai parlando.

-Anche dei nostri, forse.

-Ma che ti prende?

-Non mi prende niente. Dai, ora devo andare, mi stai facendo svegliare tutti. Ciao.

Irene fugge dalla conversazione, Tomaso rimane col telefono sull’orecchio senza aver potuto condividere nulla. Né le sue emozioni in chiaroscuro, sfumatissime, incerte e prudenti, né le parole troppo rabbiose di lei, improvvise e deluse. Anche il timbro della voce gli è sembrato altro dal solito, la musica che ha emesso al telefono non era la sua, non era quella che l’ha rapito, ha rivestito il ruolo di una fidanzata gelosa e completamente al buio. Si stacca dal telefono e guarda di nuovo Isacco e Victoria che dormono, poi getta uno sguardo alla finestra, la notte sta finendo o sta per iniziare, anche lui ha perso il controllo del tempo, si sente una preda di questo giorno o di questa notte e continua a non avere le idee chiare su nulla

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.