La Storia Ricorrente 36a puntata

Studio shot of newspaper and tablet PC --- Image by © Tetra Images/Corbis

Il tempo. E un tempo diverso dal primo. E l’invettiva improvvisa di Bertrando.

Le aritmie dei cuori di Georgia Joanna e Cristiano trovano un unisono impensabile. Sdraiati, poi seduti, poi in piedi, poi sdraiati di nuovo, comunque uniti. Le anime che si scambiano, il corpo che diventa cuore, la pelle che segue la testa, la mente che annienta il resto della vita, il tempo scolora sotto la necessità di essere in due, come ne fosse passato troppo, di tempo.

Tempo d’attesa.

Tempo di separazione.

Tempo di distanza.

Tempo di desiderio.

Tempo del lontano.

Tempo dell’utopia.

Tempo della ragione.

Tempo dell’impegno.

Tempo di convenzione.

Tempo di non amore.

Tempo di nulla.

Tempo di tutto.

Tempo perduto.

Tempo infinito.

Tempo.

Adesso no, adesso è proprio il loro tempo e il pomeriggio arriva in un baleno nella camera d’albergo che era di Victoria Danse. Lo sfondo che non conta, il necessario del cuore che incombe contro tutto il resto e che contro tutto il resto viene ascoltato.

E adesso è tempo.

Tempo di realizzare.

Tempo di vita.

Tempo di sangue.

Tempo di pelle.

Tempo di mente che lega.

Tempo di organi che pulsano.

Tempo di incanto.

Tempo dell’oro.

Tempo prezioso.

Tempo furibondo e roboante.

Tempo clamore.

Tempo clangore.

Tempo di non più immaginare.

Tempo di verità.

Tempo di tempo.

Tempo.

Irene ha acquistato una tela piccola piccola, l’esatta dimensione, in orizzontale e in verticale, del mezzo quadro di Hackert posseduto da Tomaso. Vuole cominciare subito. Ha sentito così forte il desiderio di lui, la sua amarezza, la delusione sul volto che non ci ha pensato un istante di più a non metter tempo in mezzo tra il “sì, lo faccio io” e il cominciare a procurarsi i materiali, trascurando almeno per mezza giornata, per questa giornata, il lavoro di palazzo Fidia.

Bertrando ha rifiutato tutte le interviste possibili, telefoniche, live, video, audio, scritte, lette, parlate, vere e inventate, maledicendo tutti gli organi di comunicazione e la classe dei giornalisti in generale. Lo ha fatto alla loro maniera, con un post:

Dio vi maledica. E voi dovreste inginocchiarvi di fronte alle persone che vivono per loro stesse, che non hanno mai speculato, che non si sono mai arricchite ai danni degli altri, bestie sanguisuga, ma come fate a capirle?

Mentre loro sono a caccia di qualcosa che possa arricchire le persone, voi siete alla caccia, coltello tra i denti, di qualcosa che possa arricchire voi ed infangare loro. Il fango, la merda, la terra mista all’acqua già sporca, tutto pur di vendere e svendersi per un titolo più becero di quello di ieri. La vostra corsa verso il basso che avvelena il clima emotivo del mondo dello spettacolo e del paese in generale. La merda la merda la merda. Cercare la merda, cibarsi di merda, gettare nella merda. Tutta la vostra vita ruota attorno alla merda. Sia che si tratti di una casa che ha visto l’amore di due persone o di una canzone uscita fuori da un cassetto per affetto, per generosità, per la voglia e per la forza di prolungare gli echi di chi passa al mondo e poi va via, sempre troppo presto. Non sarà mai presto quando ve ne andrete via voi, perché di voi non rimarrà niente. Di voi nessuno parlerà e sparlerà, perché siete cenere ancora prima di nascere e nulla di voi potrà davvero interessare qualcuno se non qualche avvocato per citarvi, denunciarvi, portarvi in tribunale.

Dio vi maledica, vi conduca all’inferno dritti dritti, vi faccia bruciare in un mondo lontano da chi arricchisce il mondo, da chi prova, giorno dopo giorno, a renderlo migliore e che non conosce il gusto di succhiare il sangue altrui. Inginocchiatevi, inginocchiatevi tutti insieme fino a farvi uscire il sangue, a soffrire a soffrire a soffrire col corpo perché la testa e il cuore non possono soffrire, bestie sanguisuga.

Inginocchiatevi, merde.

 

Elvio Calderoni

Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.