Tomaso guarda la scena e gli sembra un privilegio potervi assistere. Irene gli ha parlato troppo velocemente di Bertrando ma capta la fattura del loro rapporto, un’intensa incondizionata, del tutto gratuita, proprio come dovrebbero essere – si dice mentre si avvicina a loro, non troppo, non troppo poco – le intese migliori del mondo, quelle unioni inattaccabili che lasciano gli altri fuori in qualità di attori, senza suscitare invidie, ma, appunto, una consapevolezza dell’unicità di fungere da testimone. Gli squilla il cellulare mentre è ancora sul sagrato e nel rispondere si allontana.
-E’ vero, lo so e mi scuso. Lei è appena arrivata in sede, eh? Mi dispiace. Non mi succede mai. Ma se vuole possiamo farla anche subito, eh? Anche senza video, certo.
Aveva un’intervista. Irene l’ha trasportato in un altro pianeta ma adesso ha voglia di tornare a essere se stesso con il plus di energia che lei gli sta regalando, un bonus inatteso che sembra renderlo invincibile. L’intervistatrice, all’altro capo del filo, si aspettava un incontro nella sede del partito e deve rimodulare l’incontro con Tomaso, farlo diventare una telefonica meno diretta, meno esclusiva. Lui vuole darle di più.
Io intendo la politica come fare l’amore.
Ho sempre avuto quest’imperativo, da quando ho pensato di cominciare. Dal motivo per cui ho pensato di cominciare. Mi son detto: se mi muovo, se mi impegno, è per far percepire alle persone che il mio intento è nuovo davvero, che è diverso, che ci credo anche a costo di sembrare ingenuo. E ogni giorno cerco di esser nuovo anche a me stesso, che poi è quello che si dovrebbe fare in ogni mestiere e in ogni ruolo. A maggior ragione nella politica, che è un mestiere rappresentativo. Tu sei te stesso ma rappresenti centomila individui. E non sono centomila estranei, o centomila qualunque, sono i centomila che ti hanno scelto. Che hanno deciso che, tra tanti, sei proprio tu che devi rappresentarli. Hanno raccolto i tuoi segnali, ti hanno detto ‘ok, mi fido di te’. Hanno detto ‘noi ci mettiamo nelle tue mani, tu hai scelto di impegnarti per noi, di cedere il tuo tempo per noi, non sappiamo perchè tu lo stia facendo ma adesso è così e non puoi tirarti indietro’. Io ogni mattina mi rifaccio questo discorso allo specchio e vedo i centomila estranei che mi balzano intorno e mi dicono frasi del tipo: ‘la politica fa schifo ma tu sei diverso, vero?’.
La politica fa schifo, ma tu sei diverso, vero?
Tu sei lì per noi, te lo stai ricordando?
Non sappiamo perché tu lo faccia, ne sei sicuro?
La politica fa schifo, ma tu sei diverso, vero?
Ti sei guardato intorno, hai notato lo schifo
e quindi adesso sei qui per questo, per toglierlo
Non provare ad imitarli, eh… non ci proverai, vero?
Non fare come tutti gli altri.
Non mescolare la passione con la passione per il potere.
Non ci cadrai anche tu, vero?
Non lo stai facendo, Tomaso?
Mi guardano e, ti giuro, non mi suonano ossessivi o minacciosi. Gli sorrido, a volte rido con loro, con i centomila e li rassicuro, ne vado fiero, vado dritto e ogni giorno, lo faccio ogni giorno, vado sempre più dritto. E nei progetti, nelle iniziative, nei confronti ci metto la stessa energia che è necessaria per una corsa, o per far l’amore, appunto. Per far l’amore con centomila persone e farle sentire importanti tutte tanto e nello stesso momento. Accoglierle, far capire loro che i sogni che hanno non vanno cancellati. Che c’è uno spazio e un tempo per poterli realizzare, che non c’è da vergognarsi se viviamo in questo paese e che possiamo renderlo migliore davvero. Che il sogno è composto anche dai sogni degli altri.
Un fiume in piena che atterra ogni ritrosia dell’intervistatrice delusa dal mancato incontro in sede. La forza delle sue parole, la scelta delle pause, l’empatia di ogni frase, l’immediata comunicativa e la riconoscibilità convincerebbero chiunque. Non si è mai sentito così pieno, si volta verso l’abbraccio di Irene e Bertrando, ormai sciolti, Irene lo sta guardando con dei lampi negli occhi che lui vorrebbe bloccare per sempre e chiederle in ginocchio di continuare a mandarglieli per tutta la vita. Riprende a parlare:
sì, ho sempre avuto questa smania di assoluto. Sin da piccolo. Non ammettevo relativizzazioni. Non so spiegarlo meglio. Avevo questa voglia di dare di più. Non mi bastava vincere nello sport o essere il più bravo a scuola. O rendere fieri di me i miei genitori. Sentivo un basso continuo che mi tirava giù e mi urlava di guardare il cielo, piuttosto.
Vorrebbe avvicinarsi ad Irene per farle sentire queste parole, invece si gira dall’altra parte, ha paura di invadere, ha paura di sbagliare.
- E lui? Da dove atterra?Bertrando le cerca gli occhi.
- Non lo so, non lo so proprio.
- Stai ferma con lo sguardo. Fatti leggere.
- Cosa… leggi?
- Eh. Non farmi essere banale e farmi solo godere di questo spettacolo. Non accade molto spesso. Grazie, Irene.
- Ma grazie di cosa. E’ tutto così strano, tutto così veloce.
- E a te la velocità non è mai piaciuta.
- No, forse no. Ma mi piace vederla passare. Rallentarla. Mi… mi attira. Mi attira molto.
- Lui è veloce?
- Lui è velocissimo. Ti guarda negli occhi ed è peggio di te. Sembra che capti tutto. Che legga ogni pagina degli interni.
- Le pagine degli interni, ahahahah…
- Perché sei cosi giù?
- Perché è tutto tanto difficile. E tanto brutto. E non credo che canterò.
- Ma…
- Sì. Non c’è nessuna bellezza in tutto questo. Marko non c’entra niente, non c’è il mio legame con lui, non ci sarebbe su quel palco, non ci sarei io, non ci saremmo noi, il pezzo è bello, d’accordo, ma non devo cantarlo qui. Non ha senso, stiamo sbagliando tutto. Una cosa intima non va portata qui. O forse non sono proprio tempi per cose intime. Verrebbero travisate, non lo so. E non so perché ho accettato di venire qui. Perché non ci ho pensato prima, perché per ricordarmi che non era il caso ha dovuto pensarci un deficiente su un social, non mi va nemmeno di raccontarlo, tanto la cosa sarà probabilmente di dominio pubblico tra mezz’ora. Io non sono così. Io non sono qui. Io sono i tuoi occhi che mi raccontano l’amore. Io sono i tuoi silenzi imbarazzati. Io sono il cuore che sta accelerando in quell’uomo al telefono che continua a cercarti con lo sguardo mentre parla con qualcun altro. Io sono io e Marko a casa da soli a suonare insieme il pezzo.
- Credo di capire benissimo.Tomaso chiude l’intervista e si avvicina titubante a Irene e a Bertrando che lo guardano da fuori il cancello della chiesa.Rivede i lampi di Irene negli occhi, la luccicanza perfetta che aveva intravisto poco prima e che si ripresenta. Il sorriso come lasciapassare per la felicità, la bellezza dell’anima racchiusa nello sguardo, sente di essere all’altezza, va dritto verso di lei, guarda un istante Bertrando, accenna un sorriso, lui ricambia, ondeggia tra lei e lui, nessuno dice una parola, gli occhi agiscono come un permesso speciale, un certificato atteso a lungo ed ottenuto all’improvviso, al punto tale che quasi non gli dispiace che mentre bacia Irene sulle labbra Bertrando rimanga impassibile e sorridente a un metro da loro.
Elvio Calderoni