Irene l’ha fatto parlare, l’ha fatto spiegare, e tutto sembra circondarlo di un’inspiegabile grazia. Sente quasi di guidare lei la conversazione come non aveva mai fatto prima. Tutto è talmente sospeso e nuovo e sincero che anche l’illuminazione, il taglio di luce, che sta invadendo il loro tavolino a Villa Necchi sembra studiato. E la sensazione, invece, che la sta invadendo è proprio il netto contrario dello studio, dell’analisi, del sospetto. Il loro incontro trattenuto, due porcellane in fondo al baule, le spiegazioni imbarazzate e persino la rievocazione del mancato incrocio di sguardi davanti alla Vittoria Alata.
- Sul serio eri tu? Che figura..
- Ero più imbarazzato di te…il rumore del cellulare che cade, io che mi ritraggo, provo a nascondermi…
- Eh, ma avrei dovuto nascondermi io! Mi sono introdotta proprio come una ladruncola
Vorrebbe baciarla quando le sente pronunciare la parola ladruncola, ma cancella il pensiero, lo trova privo di senso un istante dopo.
-
- Non potevo supporre fosse casa tua, avevo sentito parlare di questa scultura e non riuscivo a sopportare che fosse così vicina e al tempo stesso così irraggiungibile.
- Ma tu quindi abiti qui?
- No, io vivo a Cividale. O meglio, tra Roma e Cividale. Al momento sono qui a Palazzo Fidia per…
- La casa di Marko Taglia?
- La casa di… beh, Marko Taglia l’ha lasciata a Bertrando Berna.
- Sì, conosco un po’ la loro storia. Pensa che la mia ex ragazza quest’anno canta con lui a Sanremo.
- Infatti Bertrando è a Sanremo. Victoria Danse è… quella con cui canterà.
- Lei. Stavamo insieme due anni fa. Quest’anno è diventata, come dire, famosissima. E si è appena sposata, mi han detto. Abita qui anche lei, anche loro, in piazzetta Duse, non so se hai presente.
- Sì, credo di sì. Tomaso la guarda negli occhi e si sente banale, non si sente in grado di ricambiare una tale luccicanza. Anche il ritmo delle parole, che comunque sente che gli sta venendo su naturale e rilassato, non gli sembra all’altezza. Nemmeno quel che dice, il taglio delle frasi che sta scegliendo, gli sembra sempre ordinario, da rotocalco, ha quest’ansia e al tempo stesso la grazia di fare non bella figura, ma di dare il massimo in questa conversazione, con questa ragazza che sembra atterrata da chissà dove.
- E tu? Sei sposata?Irene lo guarda negli occhi, poi zooma sul fondo di caffè contenuto nella tazzina che continua a tenere in mano.
- Non sono sposata, non ho fatto in tempo, diciamo.
- Sembra una battuta, ma i tuoi occhi dicono altro. Hanno un altro tono.
- Alessandro è morto la sera prima del matrimonio.Forse non l’ha mai detto così. Secco, perentorio ed incontrovertibile.
- Un incidente, immagino.
- Sì. E io avrei dovuto trasferirmi a Roma. In parte l’ho fatto. Ho provato, diciamo, perché era la sua città. Ultimamente ci sto molto meno, il lavoro mi ha fatto tornare in Friuli. A parte questa vacanza milanese.
- Vacanza lavorativa, mi dicevi.
- Sì, beh, per me stare con Bertrando è proprio una vacanza. Non mi sembra di lavorare. Sento la responsabilità, questo sì, ma tanto la sentirei pure se dovessi aiutare un bimbo in prima media a fare una tavola di proiezioni ortogonali.Tomaso non sa dove andare con i discorsi. Non sa se tornare sul matrimonio mancato, sul dolore, o su Roma, o sul Friuli, o su Bertrando Berna. Sceglie altro.
- Ti va bene se domani partiamo di mattina, verso mezzogiorno?Irene lo guarda di nuovo negli occhi, Tomaso respira ancora la sua luccicanza. Tacciono.
- No.
- No?
- No, partiamo prima. Devo passare da Sanremo, vorrei fare una sorpresa a Bertrando, non l’ho mai sentito così.
- Ah. Allora partiamo stasera. La Liguria è dalla parte opposta del Piemonte…Ridono. Si abbraccerebbero. Ridono nuovamente come a combattere l’impossibilità di abbracciarsi, la gratuità bellissima che avrebbe il gesto in questa villa, baciato dalla grazia che stanno respirando ad ogni angolo di questo febbraio.
Cristiano, dopo l’amplesso febbrile davanti al cancello, ha insistito per riaccompagnare Georgia Joanna. Erano distrutti. O presi da un’astronave prodigiosa che cancella buonsenso e memoria e li riporta a casa completamente stralunati. Vicini anche in questo, dopo esser stati attaccati.
La febbre non ha cancellato la paura di sbagliare e l’incertezza di ogni domani possibile. Per loro come persone e per l’improbabile legame che si verrebbe a creare.
-Siamo un embrione ma è tutto contro di noi.
Georgia Joanna ha rotto il silenzio davanti al portone di casa. Ha guardato basso prima di pronunciare le nove parole come fossero le prime che dice, senza alcuna serenità, presa dall’astronave poi fatta atterrare di nuovo, brutalmente, rumorosamente. Non c’è più nulla dell’ovattato del cancello più bello del quadrilatero del silenzio, quasi nulla di quella baldanza oltraggiosa di unirsi con le tempie attaccate e i fenicotteri tra le mani. Cristiano non ha il coraggio di pensare nessun pensiero, è fuori da ogni percorso possibile cuore – mente – parole.
Un embrione gli sembra qualcosa di promettente, ma il resto della frase lo atterra. Lei vuole proprio restituirgli e condividere con lui il senso dell’atterraggio, della pesantezza dopo un viaggio aereo.
- Siamo stati sulla luna.Cristiano ha le parole bloccate, potrebbe chiederle quando saranno in grado di tornarci, potrebbe fare una battuta sulle tempie che ancora adesso portano i segni del cancello e di quel che c’è stato, potrebbe dirle che non ha mai sognato di vivere un’intensità del genere, ma non ha il coraggio di smuovere nemmeno una sillaba. Gli squilla il cellulare mentre Georgia Joanna infila la chiave nella toppa del suo portone e prima di sparire dentro vede brillare il nome di Victoria.
- Pronto, amore? E’ successo un casino nella diretta. Una cosa bruttissima. Hai tempo? Posso raccontarti?
Elvio Calderoni