La Storia Ricorrente, 16a puntata

Le coincidenze esplodono all’improvviso. Gli occhi arrivano prima del resto. A volte si incrociano, a volte si perdono. Cristiano, Irene e Georgia Joanna sembrano giocare a nascondino.

Anche Cristiano, dopo aver percorso i giardini, è diretto “ai fenicotteri”. Nel breve percorso che lo divide da villa Invernizzi si chiede se ha vissuto sulla luna per qualche settimana, se erano davvero in due o se Georgia Joanna, dissoltasi così repentinamente, non sia piuttosto una sua proiezione allucinatoria dovuta al cambio di stato civile, al persempre appena pronunciato, alla fatica imprevista del diventar grandi senza accorgersene, come un ultimo bacio non veramente vissuto ma da cui è stato soltanto visitato come in un sogno. Una reverìe. Guarda il cielo poco prima di inquadrare il cancello per seguire lo strano percorso di un corvo, dopodiché il cellulare gli squilla e gli provoca il solito sobbalzo degli ultimi giorni quando squilla. Ma è Victoria.

-Amore?

  • Ehi. Come stai?
  • Dimmi che sei a casa
  • Beh, sì, quasi a casa, perché?
  • Perché mi dovresti fare un favore enorme. Sul tablet dovrei avere una mail con il numero del tramite della maison, penso di averlo annotato solo lì, sono una scema, lo so, anche perché non ho detto a nessuno chi me lo ha cucito, ma l’abito non sta bene per niente, ho fatto la prova adesso in camera e siccome domani sarà già tardi perché il vestito deve prima tornare a Firenze e dopo…Cristiano aveva già gli occhi al cielo ma è invaso dalla pochezza storica della richiesta di sua moglie. Crede di non averla mai percepita prima, gliel’avevano raccontata ma non ne era mai stato toccato.
  • Vado a procurartelo subito.Torna indietro, ha il tempo soltanto di inquadrare due ragazze davanti al cancello che stanno parlando con la schiena verso di lui, a sorridere pensando che una delle due potrebbe essere Georgia Joanna e poi torna indietro, sperando che torni indietro anche, e subito, insieme a lui, il pensiero sgradevole fatto su Victoria.
  • Sei un tesoro. Come stai tu?
  • Sto bene. Sto benissimo. E tu?
  • Agitata. Adesso agitatissima. Perchè forse sto capendo che non è un sogno questa cosa qui, ma è vera, verissima, super vera. E questa cosa del vestito non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Mi sta male, cade da tutte le parti, sembra fatto apposta per parlarne male, non so.
  • Ma va, non è così, ne sono certo. La foto che ho visto io stamattina non mi dava quest’idea.
  • Ma no, ma quello è un altro, è quello per la finale, quello di cui ti sto parlando non ti ho mandato foto, ho avuto questa decenza.E la decenza di non chiamarmi però non l’hai avuta, eh?Starebbe quasi per dirlo mentre infila il portone che conduce a casa e invece tace. La lascia parlare.
  • Lo so, lo so cosa stai pensando.
  • No che non lo sai.
  • Invece lo so. Stai pensando che la mia insicurezza mi paralizzerà. Anche sul palco. E ci sto pensando anche io.
  • Victoria Danse non è così insicura. Credo che tu debba ricordartelo, ogni tanto. Nessuno è autorizzato a pensare che tu lo sia.
  • Eh, meno male. Sei arrivato?
  • Sì, ecco.
  • Il tablet è in camera da letto. Comodino, credo.
  • Sì, lo vedo. Lo apro.

Tomaso manda un messaggio a Georgia Joanna: perché proprio lei? Perché proprio Irene? Fino a qualche minuto fa ti avrei detto perché l’ho vista in una foto dove era in un posto in cui andavo da bambino, a Grado. Ma ora posso dirti che è come se avessi appena avuto una visione nel mio palazzo, lei era lì che accarezzava la Vittoria Alata, ok, è chiaro che non è lei ma il quadro il quadro il quadro si sta complicando. Ti devo parlare, mi ha chiamato un vecchio che vuole offrirmi l’altra metà del quadro. Ma io Irene devo trovarla comunque. Posso chiamarti?

    • Starei le ore a guardarli. Mi rapiscono.
    • Beh, è impossibile non guardarli.Usano il verbo guardare prima di guardarsi per la prima volta. Arriva il primo incrocio di occhi. 4 orbite forti, scure, profonde anche per un passante. Occhi da ferirsi ed esser feriti, varco lasciato aperto sbadatamente, completamente attivo per gli altri occhi che si trovano ad incrociare.
    • Sì, e pensa che qualche giorno fa, mi vien da ridere adesso a raccontarlo, ma ti giuro che è stato un po’ un dramma, ho dovuto riaccompagnarne uno qui che era fuggito. Sai dove stava arrivando?
    • No. Dove?
    • A Villa Necchi, non so se hai presente.
    • Non credo, non è quella dove fanno le mostre?
    • Mmm… no, mi sa che tu intendi villa Mozart.
    • Ah, ecco, sì, villa Mozart, non sono di Milano.
    • Sì, lo avevo capito, l’accento non è di qui.L’accento, per Irene, la prima cosa che Alessandro aveva notato di lei, è un po’ un portafortuna, un ricordo di qualcosa che comincia, un superamento della fine.
    • Sì, sono friulana. Cividale, per la precisione.
    • Ah, non ci sono mai stata. Comunque, piacere, Georgia Joanna.
    • Piacere, Irene Piovene.Georgia ha quasi un sobbalzo per la conferma completa della sua identità.Si stringono la mano e lei è sospesa nel territorio in cui le cose da dire stanno per esser dette e potrebbero percorrere il cammino opposto se si perdesse l’istante giusto. Per poi non trovarlo mai più, l’istante giusto.

      La stretta è contemporanea all’incrocio di occhi, trattenuto anch’esso.

    • E invece tu sei di Milano?
    • Sì. Molto. Ridono scoprendo i denti e all’unisono si coprono la bocca mentre lo fanno.
    • Senti…
    • Dimmi.
    • Tu credi alle coincidenze?Si sente un’adolescente mentre trova le parole e il coraggio per introdurre il discorso di Tomaso. Respira altra inadeguatezza.
    • Ne ho vissute tante. Sì, ci credo. Ma spesso c’è qualcuno che decide per noi, no?
    • Il caso.
    • Il caso, Dio, il destino. Dipende.
    • Insomma… io prima di uscire ho cercato tutto il possibile che ho trovato sul web su di te.Irene la guarda più a fondo, ha un brivido brutto, una sensazione di invasione sgradevole, che stride con la simpatia fin qui provata per l’altra.
    • No, non saltare a nessuna conclusione, sono io che ho cominciato dalla fine. Ok, calma, mi sto incartando. Non sono una stalker, non sono innamorata di te, non voglio farti del male. Cominciamo con l’escludere un po’ di cose.
    • E quindi?

 

Elvio Calderoni

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.