Sfiorarsi un pomeriggio a Milano. Incrociarsi e non guardarsi nello stesso giro di vie. Perdersi e trovarsi. Oggi di scena Cristiano, Georgia Joanna, Irene e… i fenicotteri rosa.
Alle sei di oggi pomeriggio se qualcuno li pedinasse tutti, li troverebbe in movimento. Su sfondi diversi, vicini o lontanissimi, come se l’universalità del gesto fosse l’unica possibile ad ogni latitudine.
Cristiano ha nelle cuffie Isola di Sakamoto nella versione cantata da Samuele Bersani, nel cuore cerca di andare più a fondo della banale sensazione del vuoto figlia del capriccio. Non vuole più assolutizzare, vuole riprendersi sé stesso e fissare il baratro da fuori, da dopo. Esce dal quadrilatero, pieno di baldanza, convinto che sia stato un capogiro, un’incertezza, un trambusto confuso come un giro di metro su una linea sbagliata, un colore preso a caso, un errore. Inutile chiedersi, o chiedergli, se stia fingendo. Secoli fa un suo amico gli disse che aveva conosciuto una persona e che subito dopo l’ouverture se ne era allontanato precipitosamente. Perché? Perché era troppo bello. Lì per lì non capì, lì per lì giudicò. Oggi, mentre entra nei giardini Indro Montanelli e cerca di dare una voce ai labiali che incontra, sovrastato com’è dalle note della canzone, ha in mente quelle parole. E vuole dargli forma, vuole dargli sostanza:
-Pronto, Lanfranco?
-Ehi, Cristiano. Cos’è successo? Tutto bene?
- Sì, tutto bene. Lo so, non ci sentiamo da qualche tempo.
- Da qualche anno, forse. Ma dimmi, dimmi tutto.
- Una cosa sola, ti rubo solo un minuto.
- Dimmi, figurati, mi fa piacere sentirti.
- Ti ricordi quando mi parlasti di.. non me lo ricordo il nome, insomma.. era una persona che… che avevi capito che non avresti potuto rimanere in equilibrio. E allora… allora te ne allontanasti velocemente? Ti ricordi? Saranno quattro anni fa, forse.
- Certo. Certo che me lo ricordo. Non potrei scordarlo nemmeno se lo volessi.
- Ecco. Me lo ricordo bene anche io. Volevo chiederti solo una cosa.
- Chiedimela.
- Dopo quanto tempo non ci hai pensato più?
- Ahahahah…
- Perché ridi?
- Non so perché rido, non…
- Ok, ok.. però rispondimi, dammela una risposta. Dopo una settimana, dopo un mese, dopo un anno?
- Sono cose che puoi non pensarci per un po’, ma non esiste che non ci pensi più.
- Ah.
- Tu riesci a non pensare che da qualche parte esista la felicità? Riesci a cancellare del tutto l’ipotesi?
- No.
- Ecco. Se l’hai anche conosciuta e ne hai avuto paura, stai tranquillo che non te la scordi più.
- E perché ne abbiamo paura? E perché lei ha paura di noi?
- Beh, se avete paura tutti e due è fatta. E’ più facile. Il motivo non lo so. Credo sia per cercare un riparo. Credo lo si faccia tutti, sai? Ma penso che molti non lo sappiano affatto. Mi ha fatto piacere sentirti e mi ha fatto piacere la tua domanda, il ricordo. Ora devo salutarti.
Georgia Joanna, in quello stesso istante, si trova a trecento metri da lui ed è talmente fiera della sua fermezza, della decisione irrevocabile di non sentirlo mai più che non le fa paura uscire a far due passi verso Villa Necchi. Non è il richiamo della nostalgia, non è la voglia della coincidenza o di ascoltare il rumore delle palline da tennis sul prato sintetico a creare una specie di suono verde nel cervello, ripetuto e incessante, ritmicamente ipnotico. Un gioco di percussioni che ascolterebbe all’infinito. Non è questo, piuttosto è forza, è un ‘sono uscita dalla bolla e dall’essere protagonista di un tradimento e ho fatto in tempo, signori, ho fatto in tempo, potrei anche, dopo villa Necchi, passare da villa Invernizzi e fotografare il fenicottero rosa che abbiamo aiutato a rincasare’. Villa Necchi è una passeggiata, sia da casa sua che relativamente al costo emotivo, quasi nullo, veicolata com’è dal suono verde della pallina da tennis che aveva una ragion d’essere assai prima dell’incontro con lui.
Cammino e sono intera.
Percepisco i suoni e le sinestesie e sono intera.
Ascolto la musica, una delle mille versioni di My favourite things e sono intera.
Sorrido ai passanti distrattamente e sono intera.
Ce la faccio.
Posso farcela.
Prossimo step il parco di villa Invernizzi da fuori. I fenicotteri visti da oltre il cancello. Se supero anche quello, è fatta. Fuori dal cuore. Fuori dal corpo. Fuori dalla pelle e dalle ossa.
Irene a quest’ora esce sempre da Palazzo Fidia. Si gode il silenzio del quadrilatero del silenzio ascoltando il rumore dei suoi passi come faceva quando girava per Cividale. La sicurezza che le dava il pavè calpestato, cancellata dagli eventi e dallo sconquasso. Qui i suoi passi fanno un rumore discreto, quasi impercettibile e sceglie di non ascoltare nessuna musica in più come invece fa di solito e di lasciarsi andare al vento, protetta come si sente in questo quartiere, quasi come se fosse al suo paese o tra le braccia di suo padre. La riconoscenza è un sentimento che ha sempre isolato dagli altri, etichettandolo come fosse in prima fila. Verso i genitori anzitutto, poi verso Alessandro, adesso verso Bertrando e, per emanazione, verso Milano, o verso questo incrocio magico di vie. Oggi pomeriggio, dopo l’incontro con la Vittoria Alata, dopo la mostra fotografica, è tutto lievemente diverso, la luce che sente attorno è la stessa da cui si sente attraversata dall’interno. Finisce davanti a un cancello che non aveva mai visto. Ci sono tre ragazzi attaccati che sbirciano dentro.
“Eccoli lì!”
“Ma allora è vero!”
“Brunaaaa… i fenicotteri!! Ci sono veramente!”
Una quarta ragazza li raggiunge e caccia un urlo che sovrasta il silenzio.
“Nooooooo. Scatta, scatta!!”
“Sì ma non fare tutto sto casino.”
“Hai scattato?”
“Sì.”
“Sbrigatevi, è tardissimo.”
Si dileguano. Irene non deve nemmeno rallentare per giungere davanti al cancello in totale libertà. Non c’è più nessuno. Si affaccia e li vede davvero. Un gruppo, saranno cinque o sei, di fenicotteri rosa che prendono il sole dell’imbrunire, assumendo quasi la consapevolezza che tra cinque minuti non ci sarà più. Le scappa un sorriso che potrebbe durare fino alla notte. Una meraviglia che apre il viso e che la sospende nel tempo. Si attacca al cancello proprio come quei ragazzi, cerca quasi di mettere il volto tra le sbarre.
Georgia Joanna si avvicina da dietro e vede davanti ai suoi occhi una sorta di copia della foto che guardava qualche minuto fa su internet. Le batte il cuore, non sa se perché si sta avvicinando al cancello e le sensazioni non sono così sicure come quelle di prima o perché è quasi certa di aver trovato Irene Piovene.