La Storia Ricorrente, 12a puntata

Cristiano Cavalcabò si guarda allo specchio. Le poche note stonate della sua esistenza, quelle quattro o cinque sequenze di difficoltà lo hanno sempre riportato a sé stesso tramite l’immagine riflessa.

La sua, chiaramente. Conta le rughe, o meglio, i segni. Senza rapporto con il passato, li conta e basta, nessun paragone, nessun peggioramento.

E’ attento al colore della pelle, si accarezza, si schiaffeggia, si abbraccia. Tutto in modo lentissimo.
Si fissa si fissa si fissa, pur di non fissare almeno per dieci minuti lo schermo del cellulare, e si chiede si chiede si chiede come sia potuta andare così.

Come in un istante il suo progetto di felicità, Victoria Danse, il matrimonio, la vita perfetta, possa essere incappato in quel che manca.

Nell’amore che manca. In Georgia Joanna e nel suo silenzio dopo l’amore. Come può essere la sua testa così piena di lei in un momento così?

Come può essere il suo cuore del tutto distante da Victoria e ansimante assetato delle parole di Georgia Joanna.
Che continuano a non arrivare.

Cristiano si sfiora il petto e le spalle, indossa la camicia che ha appoggiato sulla porta del bagno, bianca.

Finisce di vestirsi sempre guardandosi allo specchio, ha bisogno di uscire. Di prendere l’aria che Georgia Joanna gli sta negando.

Ha bisogno di uscire ma sta spergiurando che non è per passare sotto la serie di palazzi in cui lei abita, ma che sia solo per prendere aria.

L’aria del suo quadrilatero personale, quel crocicchio di vie silenziose e opulente, sontuosamente alloggiate in quell’angolo della sua città.

Che altrove va e lì invece rimane, sta ferma, ci pensa, riflette, va meno veloce, si attacca ai muri con il silenzio, alle epoche alle ere agli amori alle malattie che vi sono passate.

Esce.

La luce del pomeriggio della quasi primavera lo invade. Sembra quasi barcollare mentre oltrepassa Villa Necchi, uno sguardo al caffè e le piccole voci che provengono dai campi da tennis, una fitta al cuore per un ricordo prossimo.

Guarda la facciata di villa Mozart, insolitamente aperta. C’è una piccola mostra di gioielli. Entra, ormai l’imperativo è distrarsi e mentire a sé stesso, fingere di non essere uscito per cercare lei.

Non è una semplice mostra di gioielli, sono dei quadri fotografici con quindici donne che, su sfondi diversi, con irripetibili giochi cromatici, indossano gioielli.

Beauty is my favourite color è il titolo e Cristiano è rapito da tanta bellezza.

Si aggira tra le tele come farebbe un esperto, si sofferma su un’opera in particolare, pieno di emozione, una donna quasi di spalle circondata da elementi rossi, un abito rosso, un volto bianco, il rosso, imperante, che cancella i segni del tempo dei muri.

Attorno al quadro, come vie che conducono verso gli altri quadri, giochi di luce di candele e lumi che attraversano le epoche, a citare il passato.

Gli ambienti della villa, una sala dopo l’altra, invasi dall’arte, i libri stessi che sembrano impallidire di fronte alla pienezza dei volti delle donne, della luce che emanano, della sapienza con cui sono state installate le tele.

Cristiano guarda un’altra tela con due bambine dai capelli rossi e ricci in un contesto floreale. Passa poi a tre sorelle brune, capelli lisci, dalle spalle scoperte che indossano teli turchesi .

Non c’è nessuna musica ad accompagnare questa esperienza, ma il rapimento è comunque completo tanto che Cristiano finisce per inciampare su un tappeto e spintonare suo malgrado una donna.

Irene si gira stupefatta.

“Mi scusi. Non volevo rovinarle addosso.”
“Di nulla.”

Uno sguardo e tornano ad essere estranei. Pur se animati dalla stessa febbrile passione della ricerca.
Cristiano esce all’improvviso.

Non vuole più rimandare l’appuntamento con la sua fragilità e si inoltra in piazzetta Duse. Non sa esattamente dove Georgia Joanna viva ma ha intenzione di perlustrare tutti i portoni tutti i citofoni tutti i cognomi.

I cognomi.
Non sa il suo cognome.
Non sa nulla di lei.
Cerca le poche certezze che possiede.

La chiama.
Nessuno risponde.

Accelera il passo.
Passo da ubriaco.
Passo da ubriaco incredulo.

Non sono mai stato ubriaco, non sono mai stato invaso, questo non sono io.
Pensa, barcolla e indaga i cognomi, le iniziali dei nomi.

Mantovani. Ombretta Mantovani.
Clizia Pastel.
Fiore Pastel.
Oreste Antepore.
Ballarini Gianluca e Bottan Sveva.
Agenzia UnoZero
Studio fotografico Kappatre.
Avvocato Blera.
Studio commerciale Simposi.
Casa di produzione Tre cerchi.
Annarita Foscari.
Giampiero Del Bondo.
I.G. Vari.
GMD.

Portoni attorno a una piccola rotatoria, palazzi imponenti incastrati tra archi roseti e bizzarri disegni.
La luce che comincia a cedere all’imbrunire.

Quanto sarò stato dentro villa Mozart?
Quanto tempo è passato?
Quando l’ho sentita l’ultima volta?

Perché non le ho chiesto nemmeno il cognome?

Continua a scrutare i nomi sui citofoni, incappa in un palazzo con 28 pulsanti, più della metà senza etichetta di fianco.

Tra i pochi presenti:
Riccardo Galantini
Famiglia Cerreto
Stupinigi
Xavier e Costance Didier
Studio legale Perini
Fleur, redazione

La richiama.
Nessuna risposta.

Il tu tu tu arriva tardivo come se squillasse in un altro pianeta e non a pochi metri.

Sembra che anche lo squillo arrivi sforzato, forzato.

Georgia Joanna guarda lo schermo, si chiede perché non abbia ancora bloccato quel numero quel nome quel cuore e si chiede cosa ci sia nel suo, cosa ci sarà domani.

Elvio Calderoni

 

Cover -ph.-Guido-Taroni

Sabrina-Querci-Lecco-Febbraio-2017

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.