La quarantena è uno stato mentale

Dal 10 marzo stiamo vivendo in quarantena.

Sin dal primo giorno ho percepito una sensazione strana…come di conoscere questa situazione…di essermici già trovata…

Ma non comprendevo perché!

Io in quarantena non ci sono mai stata, non ho mai vissuto un periodo di emergenza straordinaria come quella attuale, eppure…

D’un tratto ho capito.

Mi sono già trovata in una condizione simile nel lavoro con gli atleti infortunati. Vediamo perché.

Oggi tutti noi siamo costretti, come l’atleta infortunato, a stare fermi per un evento esterno fuori dal nostro controllo, che modifica e determina le nostre azioni, i nostri pensieri e le nostre emozioni.

Vediamo se un aiuto per fronteggiare questa emergenza COVID-19 ci può arrivare dalla psicologia dello sport in caso di infortunio.

Ci siamo ritrovati da un giorno all’altro (perché fino al 10 marzo lo sapevamo tutti che l’epidemia era in atto ed era grave, ma non ce la ‘sentivamo addosso’) a dover cambiare tutto.

Come nella fase acuta dell’infortunio sportivo dal punto di vista emotivo abbiamo sperimentato un’ampia varietà di risposte: rabbia, tristezza, umore depresso, frustrazione, senso di solitudine, apatia, preoccupazione generale e ansia, comportamento scontroso e sbalzi di umore, ma anche un senso di dubbio, sfiducia, percezione di incapacità e smarrimento legati all’affrontare una situazione nuova …..

Le reazioni cognitive tipiche di questa fase sono quelle della catastrofizzazione (sovra-esagerare la gravità della situazione, “non finirà mai”), over-generalizzazione (ad esempio faccio un colpo di tosse, “ho il Corona virus”), colpevolizzazione verso se stessi o terzi (“non sono stato attento, potrei aver contagiato qualcuno”), e personalizzazione (“perché proprio a me?”), della negazione (“non lo prenderò mai”) e della non accettazione (“esco lo stesso”).

Durante questa fase acuta, cognitivamente, si ha bisogno di capire ed elaborare informazioni, cercando di avere una maggiore consapevolezza rispetto alla portata della situazione, ponendosi domande in merito al modo in cui è avvenuta e iniziando ad analizzare le possibili conseguenze.

Contemporaneamente bisogna affrontare il disagio per la limitazione della libertà individuale sacrificata per un più alto bene comune (l’arresto del contagio) ed iniziare a gestire le espressioni emotive molteplici e variegate che compaiono una volta che si realizza di trovarsi in questa situazione.

Progressivamente, solo attraverso l’azione cognitiva di accettazione dell’accaduto ed il raggiungimento di una visione prospettica, l’atleta infortunato, come tutti noi oggi, può iniziare un’azione di fronteggiamento  rispetto alla propria condizione per arrivare alla fase riabilitativa.

Nella fase della riabilitazione, per l’atleta infortunato, lo stress maggiore generalmente non è l’incidente in sé, bensì il fatto di “non sapere cosa vuole” considerata anche la perdita temporanea dell’identità di atleta come abitualmente percepita.

Frequentemente si riscontra un senso di sfiducia e di profonda difficoltà nel cambiare gli obiettivi e le priorità precedenti o, comunque, nel rivalutarli, traslarli nel tempo e doverne identificare dei nuovi contingenti.

Una delle dimensioni riportate spesso da un atleta all’inizio di questa fase è proprio la sensazione di perdita (Podlog et al., 2014), che riflette il cambiamento nello stile di vita che si impone dopo un infortunio, come l’allontanamento dall’allenamento, modificazioni nel ritmo quotidiano e nella routine sportiva, ma anche sentimenti legati alla sensazione di sogni e speranze infranti, al senso di perdita di opportunità.

….rileggete bene il capoverso precedente….non è difficile immedesimarsi…abbiamo dovuto cambiare le modalità del nostro lavoro o interromperlo, non sappiamo come rimodulare i nostri progetti futuri (progetti sospesi che non sappiamo nemmeno a quando rimandare data l’incertezza sulla durata di questa emergenza e del suo necessario contenimento)…e non parlo solo delle nostre amate gare! Ma dei progetti lavorativi che ci permettono di sopravvivere e pagare le bollette. Abbiamo dovuto cambiare ritmi e routine quotidiane, ci sentiamo ‘fregati’ e non ce la possiamo prendere con nessuno.

Ma torniamo all’atleta infortunato: progressivamente, nel corso della riabilitazione, sperimenta anche un senso di minaccia riguardo l’incertezza del futuro che può evolversi in preoccupazione e stati d’ansia, considerando che l’atleta, anche il linea con l’andamento della riabilitazione, può mettere in discussione la propria capacità di recuperare pienamente, di rientrare efficacemente in prestazione e di dover rivalutare la propria carriera.

Quanti di noi con attività in proprio, liberi professionisti, lavoratori autonomi si stanno chiedendo se e come recupereranno, quando e se potranno tornare a lavorare con i ritmi di prima?

Un’altra dimensione psicologica che un atleta infortunato sperimenta in questa fase, soprattutto per lesioni che richiedono molto tempo, è il senso di solitudine legato all’isolamento dalla squadra e dal contesto sociale che ruota intorno, molto presente nei primi momenti dell’infortunio, ma che solitamente si dirada nelle fasi successive pur rimanendo intatto il bisogno che l’atleta ne ha (Brewer, 2010)….

Fino a quando canteremo alla finestra per non sentirci soli?

Fino a quando faremo la spesa per il vicino anziano?

Tra un mese saremo ancora così solidali e avremo ancora questo ‘spirito di corpo’ che anima questi primi giorni?

La psicologia delle masse che indaga questi fenomeni non ci dà buone speranze, salvo che ognuno di noi non metta in campo risorse e strategie pensate e consapevoli su come fronteggiare questa situazione straordinaria…

E allora cosa possiamo fare?

Anche qui il lavoro psicologico in caso di infortunio sportivo ci viene in soccorso: esistono una serie di tecniche psicologiche utilizzate durante il processo di riabilitazione e di recupero come ad esempio gli interventi educativi: informiamoci (ma solo da fonti attendibili!) in modo da avere informazioni dettagliate su ciò che sta succedendo, come procede la situazione, cosa si sta facendo, come possiamo contribuire (andate a donare il sangue!).

Va bene distrarsi con altre attività e la scoperta di nuovi mondi (lo yoga, il corso di russo, come cucinare con la pentola a pressione, 1000 e 1 modi di tinteggiare le pareti di casa, fiori e piante d’appartamento, i testi professionali accantonati da anni sulla libreria), ma è necessario fare operazioni mentali e cognitive specifiche, usare tecniche di ristrutturazione cognitiva che favoriscano un aumento dei livelli di motivazione, impegno, perseveranza e senso di autoefficacia (Santi e Pietrantoni, 2013), migliorando l’aderenza al ‘trattamento’ (#stateacasa).

Ci sono poi le tecniche di rilassamento e gestione dello stress che in questa fase sono utili per alleviare stress e frustrazione, mitigare le preoccupazioni evitando che diventino ‘ruminamento mentale’.

Le tecniche di rilassamento sono comunemente divise in due categorie: somatiche e cognitive (Arvinen- Barrow e Walker, 2013).

L’obiettivo principale delle prime è quello di allentare le tensioni del corpo (rilassamento progressivo muscolare di Jacobson (1938)), il controllo del respiro, la respirazione diaframmatica (utili indicazioni si trovano nel libro di Mike Maric La scienza del respiro, 2017), mentre le tecniche cognitive, come il training autogeno di Schultz e colleghi (1969), si focalizzando più specificatamente sulla mente ritenendo che una sua distensione si traduca in un rilassamento del corpo (Hedgpeth e Sowa, 1998).

Come afferma la collega Silvia Rizzi: “La nostra mente non è una nostra alleata, non ama i cambiamenti e non è programmata per fare fatica”, quindi non resta che allenarla.

Prendendoci le giuste distrazioni e i giusti svaghi (solo quelli concessi e fruibili all’interno della nostra abitazione), ma facciamo diligentemente, come siamo abituati noi podisti di tutti i livelli, un allenamento mentale quotidiano per costruire e potenziare le nostre risorse di fronteggiamento a questo virus che, anche grazie all’azione di ognuno di noi e al nostro miglior adattamento ci abbandonerà, restituendoci la libertà di stare chiusi in casa solo quando e se ci va.

Cecilia Somigli

cecilia.somigli @ gmail.com
https://roma.psicologidellosport.it/

 

(riferimento principale il testo: Caratteristiche psicologiche correlate alle diverse fasi di recupero dall’infortunio sportivo: revisione critica della letteratura di Cristiana Conti, Selenia di Fronso e Maurizio Bertollo)

Cecilia Somigli
Psicologa e una podista sorridente. Ho scoperto la corsa “da grande” dopo anni di pigrizia e da quel giorno non mi sono più fermata. Corro per sentirmi libera. Amo viaggiare e camminare e muovermi alla scoperta del mondo. Unire professione e passione mi ha reso una persona migliore e una professionista più competente.