Li hanno spostati in un’altra aula, i meccanici, e non è che la cosa li abbia rallegrati.
Il primo giorno mi è parso di raccogliere quelli che oggi credo si chiamino feedback negativi.
“E’ più lontana dal bar!” (vero). “Dobbiamo passare dall’altro ingresso e fare il giro” (vero). “Che cazzo di un freddo” (vero, assolutamente vero e non avete idea di quando in inverno si terranno le finali di pattinaggio artistico su ghiaccio, oltre che i campionati del mondo di turpiloquio perchè la seconda finestra non si chiude.
Tanto dobbiamo tenerle aperte. Sì, però). “Ci sono troppe lavagne, ma pensa quella di storia quanto scrive, cheppalle!” (vero anche questo, perchè quella di storia sono io e ho un principio di grafomania unito alla sindrome da “ma tu guarda che figata, le lavagne nuove, quelle grosse, è un grande prato verde, una distesa incontaminata, vai a prendermi un gesso, su”). “Che aula di merda” (vero, poco argomentato magari, ma vero).
Lui però qualcosa di buono deve averci trovato, comunque.
E subito, già il primo giorno. Io non è che ci abbia fatto caso, innanzi tutto perchè il primo giorno ero travolta da mille sentimenti tipo lo sgomento che fosse già di nuovo settembre, la fame e la vaga sensazione di essere già indietro con il programma.
E poi perchè comunque io non mi accorgo mai di niente, non me ne accorgevo nemmeno quando a scuola ci andavo da studentessa, io non vedo, non capisco, non interpreto i segni. Se uno manifesta interesse, io prima di capirlo, ho bisogno di sbatterci contro, ho bisogno di una dichiarazione di intenti in dieci punti con tanto di motivazioni.
Nei romanzi leggo tra le righe, nella vita boh. Quindi no, non me ne sono accorta. Sì, l’avevo visto entrare un po’ più spesso nella mia classe mista, quella che sta poco più in là, quella dove ci sono anche delle fanciulle.
Sì, forse avrei dovuto notare anche la trasformazione in farfalle di alcuni bruchetti. Lei, ad esempio, che ha iniziato a sottolinearsi gli occhi con la matina nera così come sottolinea i libri, e cioè molte volte, ripassando in su e in giù, ottenendo una linea scura che cancella le parole. Quegli occhi lì, però, non riesce mica a cancellarli, perchè sono scuri e liquidi come gocce d’inchiostro di una penna stilografica.
E lui, lui che sembra uscito dal capitolo di storia quello sul Risorgimento, con le basette un po’ lunghe, i capelli un po’ lunghi anche loro, con l’attitudine ad attraversare in tre veloci falcate il corridoio per affacciarsi alla porta di quest’aula, ecco lui deve averci nuotato un po’ dentro a quegli occhi.
Ripensandoci ora, mi sembra di ricordare che il primo giorno la vicinanza tra le classi, la felice e casuale concomitanza degli intervalli e la benedetta possibilità di rintanarsi nella nicchia del corridoio abbiano creato le condizioni adatte. Però non è che siano fatti miei.
Il fatto è che inizio a trovarmelo tra i piedi un po’ troppo spesso, ed essendo alto come una pertica e avendo l’apertura alare di una portafinestra, beh, ecco, questa è una cosa che anche nella mia miopia riesco a notare.
Specie se al suono della campana, mentre impilo ordinatamente le mie cianfrusaglie, lui si manifesta per far scomparire sotto ad un braccio la mia studentessa dalle gote sempre più imporporate.
“Ma quindi…voi?” mi scappa da sotto alla mascherina una domanda inopportuna, quando invece avrei forse dovuto menzionare le norme sul distanziamento o forse farmi i cazzi miei.
Lei tace, o se non tace parla talmente piano che da sotto alla stoffa azzurrina non sento profferir verbo. Lui invece, con gli occhi sbarlusenti, mi dice tutto fiero “dal primo giorno di scuola prof! Ci pensa?! La prima cosa bella di quest’anno!”.
La prima cosa bella.
Oh, se ce n’era bisogno.
Valentina Petri – “Portami il Diario”