Io agli U2 ci ho creduto, quando vennero 30 anni fa e ogni volta che tornavano avevano dato una lettura personale, se vuoi generalista del mondo che cambiava.
Perché quando ti rivolgi a così tanta gente dovresti dire cose importanti ma in modo semplice e nel contempo alla portata di chi in quel momento storico ti sta ascoltando.
Ecco, agli U2 abbiamo creduto nel tempo, minchiate comprese. E ogni volta era un traguardo e ci facevano sentire parte di un progetto che li ha portati a parlare con i grandi della terra e li ha fatti diventare maturi, voi direte a suon di dollari lo so, ma potevano fottersene e vivere una pensione a lustrarsi i milioni in banca.
I sermoni di Bono che spesso richiamo alla sua visione cattolico conservatrice irlandese su famiglia e amore e i video con gli eroi di tutti i giorni servono a farci vedere che il mondo non è solo merda e sangue, e che se critichi la loro musica perché non è il rock che tu decidi che sia, rispetta almeno il messaggio.
In queste due notti siamo entrati nel campo profughi di Zaatari, nel nord della Giordania, non lontano dal confine con la Siria che dal luglio del 2012, ha accolto mezzo milione di profughi scappati dalla guerra in Siria, scoppiata nel 2011.
Riflettuto sul problema delle coste italiane davanti ai milioni di uomini e donne che cercano un futuro migliore, che non possiamo aiutarli solo a casa loro se non gli insegniamo a pescare e che servirebbe solo il buon senso nel capire che le politiche sociali non hanno confini.
Sta a noi adesso decidere se correre ancora da soli con la loro musica in cuffia o fermarci riflettere e chiudere gli occhi davanti a chi a 17 anni d’età si è allacciato le scarpe e senza paura è arrivato in cima al mondo, senza doping, con tanti allenamenti e la voglia di cambiare le cose, almeno un po’.