INFLUENCERS, UNA VITA TRA MULINO BIANCO E FATICA VERA…

Durante i primi 12 mesi della pandemia ci siamo ritrovati ad eleggere la rete quale regina delle nostre decisioni di spesa. Vuoi come mezzo per mettere i prodotti nel carrello virtuale, vuoi come riferimento qualitativo nel mare magnum delle offerte.

Nel 2020 gli italiani che hanno seguito chi dava consigli su come spendere e cosa comprare nel web sono stati 20 milioni; di fatto oggi un italiano su tre segue un influencer sui social network.

Un numero incredibile che la dice lunga sulle potenzialità di un piccolo gruppo di professionisti in grado di modificare, migliorare o a volte peggiorare le decisioni di spesa dei propri follower.

Dite la verità: voi comprate prodotti da running perché li vedete indosso a degli influencer?

Siete in grado di capire da soli se la scarpa ha la stessa forza al negozio o nello store in rete senza dover passare attraverso le storie sui social di chi ci corre al sole, senza sudore e sempre sorridente?

Tutti i brand sportivi ad ogni lancio di una nuova linea di prodotti mandano comunicati stampa a giornali e blog specializzati.

Successivamente, chi prima o chi dopo lo fa passare sui propri canali esattamente come lo ha confezionato la casa di produzione di turno. Altri provano a dargli un po’ di spessore testando prima il nuovo prodotto.

Ma siccome nulla si deve toccare di quanto è stato costruito da chi ci ha messo sopra milioni di euro, allora è meglio non rischiare e così ecco che la prova della scarpa è una location perfetta, parco, angolo storico della città, viale alberato senza auto.

Un mulino bianco della fatica, una strada ideale dove la parola sudore non è permessa. Anni fa un persona disse: “la coca cola non sponsorizza mai le maratone, perché non vuole associare il suo prodotto alla fatica”.

Con la stessa filosofia, chi fa da gran cassa al lancio di un nuovo prodotto, nella sua costruzione della vetrina dentro la quale pubblicizzare il prodotto, diventa non credibile.

Perde di affidabilità perché la realtà è un’altra cosa.

La vita del runner amatore è scritta con l’inchiostro dello struggimento delle mattine all’alba, quando è buio e tutti dormono ed è lì che si misura la qualità del prodotto, se vale lo sente ogni volta che poggia il piede, la sua corsa è fluida senza cadere: la scarpa è messa a dura prova, ma veramente.

Il mulino bianco del running non esiste, ogni scarpa la paghi non meno di 130 euro e arrivi a consumarla fino all’ultimo chilometro perché sai che devi rimettere mani al portafogli se vuoi correre bene.

Le gare e gli allenamenti, per la pancia della corsa, sono la stessa cosa ed è quello il test perfetto di un prodotto.

Allora perché signori dei grandi marchi non vi fate fare i test da agli operai del running invece cha dai principi e principesse della rete?

Andate alle 6 di mattina e seguite chi corre per le vie buie, quando la fatica ti allenta i lacci e ti fa capire fino in fondo se i piedi stanno comodi e la intersuola è resistente o il grip regge sui sanpietirni bagnati della città.

Ecco il problema di chi fa sponsorizzate sui social per i marchi sportivi: i prodotti li indossano, non li provano “e io di conseguenza non mi fido”.

Negli Stati Uniti, paese molto più evoluto ed avanti nelle strategie commerciali, esistono siti che fanno recensioni su strada dei prodotti senza per forza metterli in vetrina con una foto su instagram.

Le scarpe da corsa sono un prodotto tecnico, vederle indosso ad un influencer non mi fa spostare il peso di una decisione; viceversa leggere di uno che ci ha corso 50/100km con il dettaglio di una recensione ben fatta sarà molto più convincente.

Lo sport da Mulino Bianco non è la realtà e questa politica diventa un boomerang per il brand e uno stop al meccanismo di emulazione nascente dall’influenza indotta dal social network con l’effetto netto che ci perdiamo tutti, sport compreso.

Buona spesa Italia