Ci avevate pensato?
Il pettorale secondo la definizione di Wikipedia rappresenta “quel riquadro di stoffa, su cui è scritto un numero che rappresenta l’atleta nelle gare di atletica leggera o altre discipline“.
Avete mai pensato a quanto ci sia dietro quel numero?
Il primo concetto, che nei tempi attuali in assenza di gare viene a mancare, è quello di aggregazione.
Osservo il mio pettorale della Maratona di New York edizione 2019.
È incorniciato in salotto insieme alla medaglia da finisher.
Guardo spesso quella cornice, ma quello su cui mi soffermo oggi è proprio quel pettorale e quelle cifre.
Numero 42.487. Un numero che dice tanto.
Un anno e mezzo fa, eravamo almeno in 50.000 insieme, tutti meravigliosamente insieme, a tagliare la linea dello Start sul ponte di Verrazzano a New York.
Ricordo l’immagine di quella mattina come fosse ieri. Pullman e pullman di atleti, venuti da ogni parte del mondo.
Condivisione. La seconda parola che mi viene in mente, sempre guardando quel pettorale.
50.000 persone pronte a condividere la stessa esperienza, mettendo insieme le proprie peculiarità e caratteristiche.
Un momento, in cui in un contenitore – quello della gara podistica – confluivano diverse culture, etnie, lingue, tradizioni, vissuti e molto altro ancora.
Dietro ad un pettorale c’è l’esperienza.
Ecco la terza parola. Esperienza.
Quella della gara. E sono le esperienze a dare un senso alla nostra vita.
Se pensiamo alle gare vissute, cosa ci portiamo dietro?
Cosa hanno lasciato alla nostra vita?
Sono sicura che molti di voi, saranno d’accordo con me nel dire che la propria vita oggi è tale alla luce delle esperienze vissute, prime tra tutte quelle condivise sulla strada con quel pettorale attaccato con le quattro spillette alla propria maglietta.
Quanto c’era dietro quel semplice gesto?
Forse ce ne rendiamo conto solo adesso.
Le spillette conservate gelosamente nello zainetto da running.
La cura e la precisione con cui avveniva il rituale dell’attaccare quel pezzetto di carta plastificato sulla maglietta.
Il pensiero che al primo ristoro con un po’ di acqua si sarebbe staccato.
Quanti di noi almeno una volta hanno seguito questi passi come un rituale?
Oltre a questo, non dobbiamo dimenticare che dietro ad un pettorale c’è poi il lavoro.
Quello di un settore – l’atletica, che poi riguarda oggi quasi tutti gli sport ad eccezione del calcio – e che soffre più che mai. E soffrono le persone e le aziende che lavorano e vivono di sport.
Pensiamo ai tracciati di gari, ai fotografi, ai giudici, gli speaker, le aziende produttivi di medaglie e gadget. E molti altri ancora.
Ed infine, dietro a quel pettorale c’è la passione.
La nostra passione, quella di noi atleti che fa sì che questi pezzetti di carta vengano conservati gelosamente ed archiviati per essere mostrati in futuro alle nuove generazioni di figli, nipoti e chissà chi altro.
La passione di chi in un pettorale ha il sogno di una vita e penso a New York, Berlino o Boston. Oppure al valore della prima gara percorsa.
La passione intesa come sacrificio che c’è nei chilometri che costruiranno il pettorale che portiamo attaccato addosso.
La pioggia, il sole, le lacrime, il sudore spesso arricchiscono questo cimelio.
E che sia New York, Roma, Milano o Latina sono sicura che il prossimo pettorale che avremo attaccato addosso andrà incorniciato come il più prezioso cimelio mai desiderato e conquistato con così tanto amore nella nostra vita.
Cose scontate, non lo sono più.
Il prossimo pettorale andrà incorniciato a prescindere di dove si andrà…
Chiara Fierimonte.