Il signore dei libri

Novembre 1997, notte di pioggia a Bogotà.

Di quella pioggerellina leggera, che quasi non ti accorgi che sta piovendo, e poi ti trovi zuppo.

Ma Josè è contento, perché con la sua divisa nuova non si bagna. E’ una bella divisa verde, di materiale impermeabile, con due strisce catarifangenti sul petto e sulla schiena, e la scritta Basureros de Bogotà.
“Vamos, Sancho!” dice al suo collega dando due colpi sulla fiancata del cassone porta rifiuti, e salta agilmente sul predellino. E mentre il camion avanza lentamente verso il prossimo cassonetto, Josè vede la luna che fa capolino tra le nuvole, e sorride sotto la pioggia.

Se lo potesse vedere sua nonna! Quanta strada fatta da quando era un teppistello nel quartiere popolare de “La Nueva Gloria”. Ricorda ancora il giorno in cui di comune accordo con la famiglia decise di lasciare la scuola per andare ad aiutare il padre a lavoro. Era una scelta obbligata, servivano soldi, ma quanto pianse sua nonna. “I libri non danno pane” sentenziò suo padre. “Josè, non dimenticarti mai la forza delle parole” gli sussurrò sua nonna. E poi la strada, la povertà, mille lavoretti arrangiati, qualche ragazza qua e la, qualche storia più o meno seria.

E poi è arrivata Maria, con la sua ventata di freschezza e di cose belle. E come portato da questo vento di novità, a trent’anni è finalmente arrivata l’occasione che aspettava: un lavoro vero, stabile e ben retribuito tra i netturbini di Bogotà. I colloqui, la firma del contratto, ed eccolo alla prima notte di lavoro.

“Da stanotte cambierà tutto” pensa Josè, mentre gli scorrono davanti gli eleganti palazzi del quartiere ovest.
E in effetti da quella notte la sua vita cambierà per sempre, ma non nel modo o per i motivi che pensava lui.

Il camion ferma davanti al cassonetto nella piazza di Nuestra Senora de la Candelaria e Josè salta giù, e spinge verso il camion il cassonetto traboccante, pensando a quanta roba buttano via i ricchi, e mentre lancia i sacchetti nel cassone, l’occhio gli cade su un oggetto biancastro che spunta tra due sacconi. Istintivamente allunga la mano per prenderlo: è il libro di Anna Karenina, curiosamente intonso ed asciutto nonostante la pioggia e l’immondizia.

Ora, a noi che amiamo leggere, sicuramente è già capitato: sei in libreria, vaghi alla ricerca di un libro da leggere, hai un paio di idee ma non sei convintissimo, e continui a vagare; e poi un libro attira la tua attenzione, lo prendi, lo sfogli, leggi il retro, magari sbirci l’incipit, capisci che è quello giusto e lasci perdere gli altri, vai alla cassa e non vedi l’ora di andare a casa per leggerlo.

E quando l’hai finito un po’ ti dispiace, ti lascia qualcosa dentro. E ripensando a come l’hai scoperto per caso hai la strana sensazione che non sei stato tanto tu a scegliere lui, quanto lui (il libro) in qualche modo a scegliere te. Se non sei un lettore non puoi tanto capirlo, puoi solo fidarti sulla parola: è strano a dirsi, ma capita.

E qualcosa di simile deve essere successa a Josè quella notte di pioggia a Bogotà: continua a guardare il libro come incantato, finchè la voce di Sancho non lo risveglia: “Jose! Moverse!”.
Le mani sono più veloci di lui, infila il libro all’asciutto sotto la cerniera del giaccone impermeabile, finisce di lanciare i sacchetti nel cassone e salta sul predellino.
“Vamos, Sancho!”

Ma mentre il camion avanza nella notte, i palazzi eleganti scorrono e la pioggia cade sottile, Josè non pensa più al suo nuovo lavoro. In testa ha solo il suo libro. “Come si fa a gettare un libro?” si chiede. Lui che i libri non li ha mai potuti comprare, Lui che ricorda le letture delle favole della buonanotte di sua madre come un momento magico: sempre le stesse, sempre bellissime.

E gli torna in mente la voce della nonna che in quel giorno triste gli sussurrava di non scordare mai la forza delle parole.
Ed un pensiero inizia a ronzargli in testa. Torna a casa, legge fino a mattina inoltrata, poi crolla.

La notte dopo è di nuovo in strada, stesso compagno, stesso percorso nei quartieri ricchi, ma in testa un unico pensiero: “Chissà se ne trovo un altro”. E lo trova.
E poi un altro. E un altro ancora.

“Come si fa a gettare un libro?” continua a chiedersi, e uno dopo l’altro continua a salvarli, sotto il suo giaccone verde. Notte dopo notte continua a trovare libri buttati via, e a portarli a casa. Dieci, cento, mille.

La voce si sparge a La Nuova Gloria, di questa casetta piena piena di libri, che Josè recupera dai cassonetti dei ricchi. E qualcuno si affaccia a vedere se è vero; e tra i tanti che non possono permetterseli, qualcuno ne chiede uno in prestito, per se o per i propri figli.

Josè Alberto Gutierrez ancora una volta non ha esitazione: ha salvato quei libri dall’oblio, ora può dargli una nuova vita, e riparare un po’ l’ingiustizia di tanti che vorrebbero leggerli, ma non ne hanno la possibilità.

Così coinvolge Maria (anche lei capitata nella sua vita non per caso) e trasforma metà della sua casa in una biblioteca aperta a tutti. Lui recupera libri la notte, Maria di giorno usa la sua abilità di sarta per rimetterli un po’ in sesto, e catalogarli alla meno peggio.

Bogotà è una citta con nove milioni di abitanti e solo diciannove biblioteche, tutte nei quartieri eleganti: da quel giorno le biblioteche diventano venti. E a La Nuova Gloria si inizia a parlare di Josè come “Il signore dei libri”.

Josè e Maria continuano a salvare libri, che notte dopo notte aumentano e occupano sempre più spazio in casa. E in casa c’è sempre qualcuno che si aggira tra gli scaffali, e gratuitamente ne prende un libro in prestito. I mesi diventano anni, libri da centinaia diventano migliaia, la notizia di questa biblioteca popolare si diffonde e qualcuno decide di dare una mano, donando i propri libri.

A dieci anni di distanza Josè e Maria hanno raccolto oltre ventimila libri e Josè capisce che si può fare di più, spingendosi anche oltre i confini del quartiere.

Costituisce una Fondazione “La Fuerza de Las Palabras”, con un po’ di aiuto compra un furgone sgangherato, e inizia a girare per la Colombia.

Il meccanismo è semplice: se un privato, o un’istituzione vuole donare dei libri, contatta la fondazione, e dopo qualche giorno Josè arriverà col suo furgone a ritirarli. I libri vengono poi catalogati insieme alla moglie e sono pronti ad essere consegnati a chi ne fa richiesta: scuole, comunità, ospedali, ospizi.

Nel 2017 la Fondazione ha spedito 5 casse di libri alla comunità indigena di Huitotacueimaní, in una regione caratterizzata da foresta tropicale e fiumi. Qualche settimana dopo uno dei capi della comunità ha inviato un video messaggio dicendo che tutte le comunità indigene della regione stavano aspettando il Signore dei libri a braccia aperte, per ringraziarlo; pregandolo in occasione della sua visita di portare altri libri.

“Il patrimonio più prezioso che possiamo lasciare ai nostri figli è l’istruzione” ha dichiarato Josè in un’intervista, con una retorica da oratore consumato.

Con la differenza che il suo non è uno slogan da politicante, ma una ragione di vita: sempre in prima persona al servizio dei più poveri, sempre in aiuto di chi è dimenticato dalla società e non potrebbe permettersi il lusso di leggere, costantemente impegnato a diffondere cultura ed istruzione come strumenti per creare un mondo più giusto.

Come si fa a gettare un libro?
Siamo innegabilmente una società malata.

Ma per fortuna ci sono uomini come Josè. Uomini con un cuore enorme che notte dopo notte lavorano silenziosamente, provando nel loro piccolo a rimettere le cose a posto.

#StorieDaCaffè

Andrea Sylos Labini