IL BORGO È PICCOLO, LA GENTE MORMORA

Sono nato e cresciuto in città, da genitori “cittadini”.

Poi mi sono trasferito a Barivecchia che -nel bene e nel male- sconta le dinamiche sociali e mentali di una comunità chiusa, tipica dei piccoli paesi.
E nonostante io viva qui da più di dieci anni, continuo a stupirmi di certi meccanismi, che meriterebbero ben altro approfondimento in uno studio antropologico, mentre io qui non posso che limitarmi ad una chiacchiera da bar (o una storia da caffè).
Comunque.

E’ scoppiata una conduttura in un altro quartiere della città, e a causa dei lavori di riparazione Barivecchia è rimasta senza acqua per 24 ore.
Psicodramma
Ma non per il disagio, il non potersi lavare, lavare casa e vicoli, cucinare, innaffiare le piante.
Quello è il minimo, e i cittadini di Barivecchia hanno le spalle larghe per sopportare ben atri guai.
No, il problema vero era un altro:
LO STIGMA

Per ventiquattro ore a Barivecchia non si è pensato ad altro che ad infliggerlo (per i più maligni) o evitarlo.
Tra i vicoli, nei negozi, nei bar, nei parrucchieri, nelle cantine. Per ventiquattro ore qualunque conversazione ha ruotato intorno ad una frase, quasi un anatema:
“Chedda’ nzvùs nemmang se n’è avv’rtut”, che tradotto in italiano suonerebbe come “Quella sporcacciona non se n’è nemmeno accorta!”
Si, perché non sapere della mancanza dell’acqua equivale ad ammettere di non averne bisogno, confessando di conseguenza di non lavare se stessi e la propria casa.

I più ingenui si sono fatti cogliere in fallo: “Perché, è mancata l’acqua?”esponendosi così al pubblico ludibrio, e ricevendo immediatamente lo Stigma.
Poi nel corso della giornata si sono fatti tutti più accorti, ma è scattata una vera e propria caccia agli n’zvus, con donne che con aria furba in modi più o meno sottili cercavano di far cadere in fallo i propri interlocutori.
E come è successo in passato in ben altri contesti di sospetto ed inquisizione, ci si è sentiti in dovere di mettere subito le cose in chiaro, e sottrarsi da ogni sospetto, lamentandosi ad alta voce della mancanza d’acqua.
E, attenzione, non ci si lamentava tanto per il disagio, quanto piuttosto per evitare lo Stigma. Come dire : “Chiariamoci subito, Io me ne sono accorta che è mancata l’acqua, e mi è pesato, perché io lavo e MI lavo”

E di qui il capolavoro, il non plus ultra dello spirito del paese.
Il terrore dello stigma era talmente diffuso, che anche chi l’acqua non l’ha mai persa (perché aveva un autoclave) si sentiva in dovere di chiarire la situazione: “Menomaaaale che avevo l’autoclave. Ma sono stata attenta attenta a consumarne poca, casomai finiva!” E giù con racconti inutili di come si era centellinata l’acqua dell’autoclave.

Io tutto questo l’ho capito tardi.
E quando la mogliera mi ha spiegato tutti i retroscena, ho ricostruito una conversazione avuta con due vicine uscendo di casa dopo pranzo.
Li per li mi era sembrata una chiacchierata innocente, ora capisco che le due erano come gli evangelici Zeloti che ponevano domande apparentemente innocenti al Cristo con il subdolo obiettivo di farlo cadere in fallo.
“Avvoca’ com’a ma fa senz’acqua?”
Solo che io decisamente non ho la prontezza del Cristo.
“Perché, cos’è successo all’acqua?”
Sguardo di intesa tra le due.
È chiaro che di me penseranno il peggio.

#StorieDaCaffè