Hangover per ultraquarantenni

“Papà ti sei ubriacato”
“No Vale, che dici”
“Papà ti conosco da quando sono nata, quando ti ubriachi hai quest’occhio più chiuso dell’altro, e ti vengono tutte le rughe intorno agli occhi”

… (sorriso da idiota)
o sempre retto bene l’alcol.
E, avendo una certa passione per gli eccessi, ho sempre alzato il gomito con piacere, se non con vera e propria avidità.

Sin da quando a quindici anni si sperimentava l’ignobile vodka alla pesca intorno ai falò in spiaggia, o la ributtante vodka al melone nelle prime “indianate”.

E a quindici anni non si parlava di Hangover. Se esageravi magari la sera stavi un po’ male, un po’ ti spaventavi e promettevi a te stesso che non avresti bevuto mai più. Poi ti svuotavi lo stomaco, dormivi come un sasso e la mattina dopo non c’era più traccia di nulla: né del malessere, né della paura, né tantomeno dei buoni propositi.

Ma io l’ho sempre retto bene l’alcol.

Ricordo le feste dei venti anni con i fantasiosi cocktails anni ‘90, dal pirotecnico B 52 al malefico Angelo Azzurro, passando da “cervelletti”, “tricolori”, “sottomarini” e infinite variazioni sul tema condite dal gusto della scoperta e della sperimentazione. E anche qui non si parlava ancora di Hangover. Al massimo si chiamava sbornia, e la si affrontava da eroi: tanta acqua “per diluire”, se necessario due dita in gola e poi una bella dormita. La mattina dopo avevi un po’ di mal di testa, un sorrisetto compiaciuto e la voglia di mangiarti il mondo.

Che poi io l’alcol l’ho sempre retto bene.

E a trent’anni inizi a bere un po’ meglio, e scopri il piacere del vino, e le gioie degli aperitivi col Martini, e quel rapporto abbastanza stretto con la birra, e il favoloso mondo della Vodka ghiacciata e dei distillati in generale; e alle feste si sovrappongono le cene, e le notti nei locali, e le chiacchiere in pozzetto o intorno al fuoco fino all’alba con una bottiglia di amaro.

A trent’anni ci stai un po’ più attento, ti conosci meglio. E soprattutto bevi un po’ meglio. E se qualche volta un po’ esageri comunque la sai gestire. Certo, la mattina dopo la faccenda inizia a diventare interessante. Un po’ il mal di testa ti martella, un po’ ti da fastidio la luce.

Un po’ hai la sensazione che qualcosa inizi a scricchiolare. E inizi a familiarizzare col termine Hangover, che da un lato è un neologismo che nel 2010 iniziava a circolare, dall’altro è una parola che inizi ad abbinare ad una sensazione ben precisa. Che però dura solo una mattinata. A trent’anni poi arriva il pranzo, magari se fai una pennica dopo pranzo resetti il cervello, e ti svegli che hai di nuovo voglia di festeggiare. E se la sera dopo ti capita, di certo non ti tiri indietro da un’altra serata.

Per fortuna l’alcol continuo a reggerlo bene.

Perchè proprio mi piace.

E a quarant’anni capisci che la vita è troppo breve per bere schifezze, e ti innamori di cose buone. E quanto godi di un buon rosso in una cena di carne, o di un buon bianco col pesce sul mare, o del rosato ghiacciato in primavera. O i Rum, quelli buoni, la sera tardi serviti al bancone da chi li conosce, o i torbati. E le Vodke, quelle serie.

E così a quarant’anni non è che proprio ti sfasci. Sono lontanissimi quei falò autodistruttivi con la vodka al melone. Però è bello riempire il bicchiere delle persone a cui vuoi bene, e brindare con loro. E ho la fortuna di voler bene a tante persone. E ho sempre il vizietto di non farmi mai scappare un’occasione di festeggiare.

E dopo mesi di clausura forzata la voglia di festeggiare era incontenibile. Così ho preso la prima scusa disponibile (ho fortunosamente vinto il Fantacalcio) e ne ho approfittato per riunire tutta la Lega con famiglie e bambini nell’area esterna del locale di un amico, appositamente riservata per noi.

E niente, la serata è andata come doveva andare, e quando il coprifuoco ha svuotato il locale i bambini con Winch hanno iniziato a rincorrersi nel parcheggio (chiuso e recintato), io continuavo a riempire bicchieri di cicchetti, e continuavo a chiedere a Domenico (il proprietario del locale) l’ultima bottiglia per l’ultimissimo brindisi; e sarei andato avanti tutta la notte, con buona pace del povero Domenico che ad un certo punto è stato costretto a mettere (giustamente!) alla porta tutta la molesta compagnia, per evitare l’arrivo dei Carabinieri.

Il tutto è finito in orario più o meno compatibile col coprifuoco: è stato breve ma intenso.

E altrettanto intensa è stata la sensazione stamattina.

Nel 2021 il termine Hangover è ormai di uso comune, e per me quarantaquattrenne ha un significato solido e concreto, sempre più pregnante con l’aumentare dell’età.
Innanzitutto non posso più parlare della mattina dopo, ormai dura tutto il giorno dopo.

E benchè non è che ieri io abbia proprio esagerato, e nonostante una bella dormita, è tutto il giorno che sono accompagnato da una sensazione abbastanza diffusa di malfunzionamento, nel corpo e nel cervello. Come una moto che va a tre. Come se si fosse grippato un cilindro che non si sa se ripartirà. In realtà è un po’ che ho superato i quaranta, e la sensazione la conosco abbastanza bene, e so che prima o poi riparte. Il cervello intendo.

Ora per esempio sono le otto passate, e sono ancora un po’ ovattato, anche se in netto miglioramento. Ma non potrei mai affrontare un’altra serata. E se a vent’anni quando esageri devi gestire un po’ i genitori, a quarant’anni devi vedertela con i figli.
Vale per esempio è sempre attenta al mio stato di salute, e ci tiene a tenermi in vita il più possibile.

E così ti capita di affrontare con i figli dialoghi surreali, per giunta senza la lucudità necessaria per dare risposte appropriate che non siano sorrisi da idiota.
Il momento peggiore del mio Hangover da ultraquarantenne è stato oggi alle 3 di pomeriggio, quando tutto il mio essere bramava solo di buttarsi sul letto, e ho visto mio figlio accucciato sul divano.

“Fabri, ora ci mettiamo nel lettone e ci facciamo una bella nanna del pomeriggio abbracciati”
Fabri: “No papà, io non ho sonno”
Vale: “No Papà, mi devi accompagnare all’allenamento di ginnastica artistica”
Io:“Fabri, se tu avessi la patente potresti accompagnare tu Valeria, e io andrei a dormire”
Vale: “Non ti preoccupare papà, tanto tra sei anni io potrò guidare e ti potrò accompagnare”
Iio: “Ah stupendo, così all’Angiulli potrai andare da sola. Ma perchè mi dovresti accompagnare?”
Vale: “Quando ti ritireranno la patente perché sei ubriaco”
Fabri: hahahaha
io: sorriso da idiota

L’ho sempre retto bene l’alcol.

E’ il giorno dopo che un po’ mi frega

#StorieDaCaffè