Fenomenologia di un b&b a Barivecchia

Ho il privilegio di vivere a Barivecchia, e di averla vista cambiare.

Come in un incredibile esperimento sociale, ho visto scorrere sotto i miei occhi il crescere del turismo e i suoi sorprendenti effetti sulla popolazione autoctona di Barivecchia.

E così mentre anno dopo anno si realizzavano gli effetti delle politiche dell’illuminato governo Vendola, con l’espansione dell’aeroporto, l’Apulia Film Commission, il diffondersi ed affermarsi del Puglia Style e del made in Puglia, pian piano il mondo si accorgeva della Puglia, ed il National Geographic la esaltava a livello globale come “La regione più bella del mondo”.

E intanto a Barivecchia giorno dopo giorno le cose cambiavano: nei bar malfamati con i tavolini della Peroni ad un tratto sono spariti i tavolini della Peroni, sostituiti da eleganti tavoli color crema; poi su quei tavoli sono comparse tovagliette e poi addirittura delle piantine messe come centrotavola.

E insieme al turismo di massa delle navi Crociera, con grupponi di spagnoli o americani vestiti in modo variopinto e scortati dalla polizia, ha pian piano preso piede un turismo più elegante.

E mentre nelle sere di primavera si iniziavano ad incontrare coppie di francesi a passeggio per i vicoli con aria innamorata e sognante, si vedevano gruppi di inglesi seduti a prendere l’aperitivo in quei bar con i nuovi tavolini color crema, serviti da camerieri poliglotti nei quali potevi facilmente riconoscere gli stessi monelli di strada che fino a qualche anno prima scippavano i pochi visitatori di passaggio.

Intanto lo spirito levantino e commerciale della città generava meraviglie del marketing internazionale come le “Maria’s Popizze” della foto.

E mentre Bari si riscopriva una città turistica, molti appartamenti della città vecchia venivano ristrutturati e trasformati in più o meno accoglienti Bed and Breakfast.

Anche noi nel nostro piccolo siamo stati coinvolti dall’entusiasmo, e abbiamo riconvertito il “sottano” di casa nostra, aggiungendolo alla nutrita lista dei B&B di Barivecchia.

Si dice che gestire un B&B sia un’esperienza umana bellissima, che regala molteplici occasioni di incontro e interazione con persone di tutti i tipi, alcune delle quali assolutamente degne di nota.

Va da se però che gestire un B&B a Barivecchia sia qualcosa di particolare, con una fenomenologia Bizzarra. Provo qui a riassumerne i tratti salienti.

Innanzi tutto il nome.

Anche qui come nel resto del mondo si chiamano B&B, solo che per la quasi totalità dei residenti non è l’acronimo di Bed and Breakfat, ma  del più caratteristico Brekebbrek.

Bene, noi siamo in un vicolo chiuso, un vicolo i cui abitanti trascorrono la maggior parte del loro tempo fuori casa (nel vicolo, appunto), e sono quindi come una famiglia. Una famiglia strampalata ed eterogenea dove si trascorre tanto tempo insieme, si litiga, ci si sopporta e ci si aiuta. E dove, soprattutto, non ci sono segreti.

E così gli ospiti del nostro Brekebbrek entrano inconsapevolmente a far parte di quell’organismo sociale complesso che è il nostro vicolo, dal quale vengono osservati, commentati e ovviamente valutati.

Per prima cosa quindi ogni ospite riceve un soprannome, col quale sarà identificato da tutti e ricordato nelle storie e negli aneddoti.

Il nostro primo ospite ad esempio fu tale Vlastimil, un ragazzone dalla repubblica Ceca con un’aria vagamente metallara, immediatamente ribattezzato “U’Viking”.

Una sera Vlastimil tornò a casa un po’ alticcio, portando un cartone di pizza da asporto in verticale sotto il braccio, come fosse una cartelletta, ed ebbe qualche difficoltà ad aprire la serratura: a quasi due anni di distanza qui ancora si ride di quando “u’Viking stev ‘mbriac, co’la pizz sott’u vrazz, e non iev cazz d trasì ind’a cas”.

E’ appena andato via Paolo, un allegro ultrasettantenne americano, universalmente riconosciuto come “una brava persona”, e subito adottato come uno di famiglia: “lo zio Paolo”. Checco, il più piccolo dei bambini del vicolo continuava a lasciare la sua biciclettina davanti alla porta del Brekebbrek, ed era facile sentire un urlo che tradotto suonava tipo “Checco, togli da li la bicicletta, che se lo zio Paolo inciampa si fa male”.

Piotr, camionista Bulagaro che forse aveva bevuto un po’ troppo caffè, è stato subito ribattezzato “U drogat”. E il Tribunale del Vicolo, molti dei cui componenti possono vantare un notevole curriculum in materia di droghe (sia per esperienza personale che professionale) ha tenuto accese discussioni sul tipo di droga che assumeva U’drogat. In quei giorni era facile rientrare a casa e sentire scambi del genere: “Moo, è arrivat a cas tutt’auandat”. “No, ma non ie rob d’ cocain, ie chiu rob d’metanfetamin”.

La lista dei soprannomi è lunga, quasi quanto quella degli ospiti.

Marie “La pittrice” una francesina a cui forse piaceva disegnare;

Ruben “Bellicapelli” un allegro spagnolo con un paglione in testa;

Eddy “Big Jim” un personal trainer americano pompatissimo;

“U Cines” in realtà un Giapponese che viveva a Stoccarda, ma al tempo dell’inizio del Covid un’evidente minaccia;

“l’angioletto” uno Svedese col suo caschetto biondo ed un’aria innegabilmente da cherubino.

E tantissimi altri.

E poi c’è “Chedda Pttan”. Di “Chedda Pttan” non si ricorda nemmeno più il nome, è rimasto solo il soprannome, sempre pronunciato con astio. “Chedda Pttan” era una povera ragazza con dei problemi credo abbastanza seri (roba di esaurimento nervoso) che aveva bisogno di trascorrere qualche giorno di tranquillità nel silenzio.

La poveretta però conosceva tanto poco del mondo che sperava di trovarle entrambe (la tranquillità e il silenzio) a Barivecchia a giugno. Non avendo trovato né l’una ne l’altro, un giorno ci comunicò, con la faccia sull’orlo di una crisi di nervi, che aveva intenzione di interrompere anticipatamente il suo soggiorno.

Noi la prendemmo con filosofia, abbonandole il pagamento degli ultimi giorni, ma la Famiglia la prese come un’offesa personale. Credo che in qualche modo si siano sentiti rifiutati.

E ancor oggi si parla con una certa rabbia di “Chedda Pttan”, autrice dell’unica recensione negativa nella nostra carriera di Superhost.

Ma il giudizio popolare a cui è sottoposto ogni ospite non sarebbe tanto approfondito e circostanziato se non ci fosse Anna.

La nostra meravigliosa Anna è una delle signore del Vicolo che ci aiuta con la gestione del B&B: a lei è affidato il compito di tenere pulito ed in ordine la Casetta, ed è lei che da ai nostri ospiti quel surplus di Folklore e di attenzioni che tanto apprezzano. Ed è un balsamo per l’anima vedere la gioia sincera di Anna quando le leggiamo la recensione positiva di qualche ospite che la cita o addirittura la ringrazia.

Ma Anna è anche una sorta di quinta colonna, il tramite con cui il Vicolo arriva ai segreti più intimi ed inconfessabili dei nostri ospiti. E’ Anna che ci fornisce dettagliatissimi e non richiesti rapporti su quanto un ospite sia o meno pulito, ordinato, quanta birra beve, quante docce fa, se cucina, cosa cucina, COME cucina, in che condizioni ha lasciato l’appartamento.

Una delle cose più belle di questa avventura sono proprio i messaggi vocali con i commenti o i dossier vocali di Anna che ci arrivano ad orari strani, sempre rigorosamente fuori contesto. Una volta eravamo in un ristorante in montagna e con tutta la tavolata ridevamo fino alle lacrime a sentire il racconto di Anna dell’arrivo nel vicolo di “U’Cines” che loro scacciavano al grido di “Coronavirus! Coronavirus” aiutandosi con le scope.

E più volte mi è capitato di aprire per sbaglio durante riunioni di lavoro messaggi vocali meravigliosi quanto imbarazzanti.

Fattostà che tutti questa massa di informazioni e dati sensibili che noi non richiediamo e disincentiviamo, vengono comunicati, ascoltati avidamente, commentati e opportunamente soppesati dagli altri abitanti del Vicolo, che così possono esprimere il loro circostanziato giudizio sull’ospite, in una scala che va da “Che bella persona” a “Chedda Pttan” passando da infinite sfaccettature e gradi intermedi “tranguill”, “un tipo un poco strano” ,“’nzivus”, “una brava ragazza”, “nu trmon”.

Mi stuzzica l’idea di usare il verdetto del Vicolo come recensione dell’ospite su airbnb, ma mi rendo conto che in alcuni casi darebbe adito a sgradevoli incidenti diplomatici, quando non proprio a derive da codice penale, così evitiamo.

E così questa storia del B&B, nata quasi per gioco, si è rivelata l’occasione per riscoprire una volta di più perché amo vivere a Barivecchia, dove tutto quello che si fa acquista un tocco grottesco e surreale, e in qualche modo profuma di poesia.

Andrea Sylos Labini

#StorieDaCaffè