Dominic Lobalu il primo dei profughi a vincere un oro nei 10mila

Dominic Lobalu ha conquistato una splendida medaglia d’oro nei 10.000 metri ai Campionati Europei di Roma. Il 25enne svizzero ha chiuso la gara con un tempo di 28’00”32, superando nello sprint finale Yann Schrub (Francia) e Thierry Ndikumwenayo (Spagna).

Prima di questo Europeo, nelle competizioni internazionali, Lobalu gareggiava sotto la sigla ART (Athlete Refugee Team), che rappresenta la squadra degli atleti rifugiati. Tuttavia, non rappresentava realmente né il Sud Sudan, suo paese natale, né la Svizzera, paese in cui viveva.

Dominic Lobalu, a quel tempo, era un apolide, un rifugiato e richiedente asilo senza nazionalità ufficiale.

Oggi corre per la Svizzera e lo fa come se ogni gara fosse la più importante della sua vita, battendo alcuni dei più grandi nomi dello sport e realizzando il sogno di una vita. La sua è una trasformazione da figura di spicco sulla scena internazionale a vera e propria superstar.

Lobalu è il primo atleta rifugiato a diventare professionista, ma la sua mancanza di identità nazionale gli impediva di competere ai campionati del mondo o alle Olimpiadi. Fortunatamente, la sua richiesta di asilo ha avuto esito positivo, permettendogli di gareggiare sotto una bandiera.

Nato nel remoto villaggio di Chukudum, in quello che sarebbe poi diventato il Sud Sudan, Lobalu aveva nove anni quando perse i suoi genitori nella brutale guerra civile che precedette l’indipendenza dal Sudan. Fuggì oltre il confine con il Kenya, dove si separò dalle sue quattro sorelle. Attraverso un orfanotrofio a nord di Nairobi, gli fu offerto un posto presso la Tegla Loroupe Peace Foundation, un campo di allenamento di atletica in Kenya, che costituisce la base dell’Athlete Refugee Team.

Ha gareggiato per loro ai Campionati del mondo di Londra 2017 – “Era la mia prima volta su un aereo, era come se stessi sognando” – finendo davanti solo a un corridore olandese, che era inciampato e caduto. Tuttavia, due anni dopo, alla fine di una gara a Ginevra, prese la decisione di scappare, spinto in parte dal malcontento per la vita nel campo di atletica e in parte alla ricerca di un futuro migliore. Preferisce non soffermarsi su quell’episodio, dicendo: “Non voglio parlarne. Non mi piace ricordare quello che ho passato.”

A noi piace pensare che ci sono uomini che, con la forza delle loro gambe, possono cambiare il proprio destino. La fuga dalla fame e dalla guerra, a volte, può portare su strade che permettono di vincere una medaglia d’oro e realizzare i propri sogni.

Vedete il film a lui dedicato, fino alla fine, ne vale la pena.

 

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