Dipinti in cerchi – ventitreesima puntata

Sull’Aurelia Jorge ha trovato pioggia per tutto il percorso da Roma e sta raggiungendo Genova con un’ora di ritardo.

E’ stato zitto fino a Grosseto, poi ha cominciato a parlare, recuperando stralci di conversazioni avuti con lei nel corso degli anni. Ha ascoltato i messaggi vocali di BluRose dal suo cellulare sulla strada.

Ha cominciato dai primi. E ad ognuno ha risposto dal vivo, pronunciando le parole in macchina come se lei potesse sentirlo. Una strana commedia umana e disumana che l’ha portato fino in Liguria. Ha ascoltato l’ultimo, per primo, uscendo dall’aeroporto:

“Non so quando riusciremo a sentirci, qui le comunicazioni sono molto difficili, mi dicono. Domattina ho il primo volo e ho un po’ paura, non te lo nascondo. Ma ho anche voglia di farlo. Sento che ci sei”

La voce di lei, con parole mai ascoltate prima, lo sconquassa. Riascolta l’audio più e più volte, non riesce più a vedere la strada per le lacrime che gli riempiono gli occhi. Forse la consapevolezza in questo momento è in contropiede e sta per segnare. Lo sta affondando, sente di essere un portiere che, nella nebbia, cerca di parare tiri da tutte le parti mentre la palla continua ad andare in goal.

Si rende conto che è necessario fermarsi, non vede più nulla, ha bisogno di buttare gli occhi nelle mani, di tirar fuori l’inizio del dolore che esplode.

Vibra l’assenza in ogni fibra. Si deve fermare. Deve capire. Accosta la macchina e con i polpastrelli tocca il legno chiaro della bara. Vuole delle certezze, vuole prendere il dolore in faccia.

Riascolta l’audio, poi cerca di capire cosa si sono detti l’ultima volta che si sono visti. Non ci riesce. Ha un ricordo che risale a qualche settimana fa, quando lei gli fece la sorpresa di venire a salutarlo sulla scalinata delle caravelle:
– Ehi.
– Ma…
Il campo visivo di Jorge fino ad allora occupato da cento persone che salgono e scendono, fanno cose, ne dicono altre, piene di movimento e necessità, si addolcisce all’improvviso.
– Passavo di qua per caso. Così si dice.
– Che sorpresa.
– Lo so che sei preso. Me ne vado subito.
– Una sorpresa magnifica, nemmeno io sapevo che sarei riuscito a passare, sei incredibile.
– A volte i messaggi non servono. Ci si capta.
– Mi sorprendi ogni volta.
– Volevo solo dirti una cosa. E chiedertene un’altra.
– Dimmi.

Il tono, quel tutt’uno con lo sguardo, le vibrazioni che emanava, la verità scolpita nei tratti del volto:
– Io non ti darò mai per scontato.
– Fai bene. Non è così, nemmeno per me.
– Ecco, questa è la cosa che volevo chiederti: non darmi mai per scontata, per raggiunta, per… non trovo un terzo aggettivo.
– A parte che è un participio… non c’è bisogno di trovarlo e non c’è nemmeno bisogno di chiedermelo. E’ così e basta.

BluRose lo baciò con emozione trattenuta per il crocicchio di gente attorno a loro, per le cento persone su e giù per la scalinata, un abbraccio difficile da trattenere quanto da slacciare.
– Davvero è un participio?
– Eh, sì.
– Non imparerò mai tutti i segreti della lingua italiana. Non so tu come faccia.

Un sorriso finale. Lei che si allontanò soffiando un bacio, stretta nel suo trench beige, pronta ad affrontare l’eventualità della pioggia genovese. Che sarebbe arrivata solo dopo un paio di settimane.

Jorge prova a riprendere la strada verso le esequie, verso la verità da cui non sarà possibile tornare indietro ma continua ad essere invaso, nel cammino, da onde di immagini, un caleidoscopio emotivo di situazioni, appuntamenti, pelle e brividi che gli sembra così centrale che è impossibile arrendersi al dato che ormai farà parte del passato. Guida con una mano sul volante e l’altra sulla bara, appoggiata, con il busto semiruotato, a cercare una consapevolezza, una resa, ma anche a trattenere con tutto quello che può il poco che resta.

Malvina continua a stringere mani e tempi, si muove da un’estremità all’altra della via, manda giù il sottile e incessante malessere per l’assenza di Jorge, sorride e cerca di aprire le maglie di tutti, di infilarsi nel territorio della confidenza sussurrata, della sensibilità professionale, una facciata che non sembri tale:

– Lena, non ti avevo ancora salutata. Tutto bene? Io sono Malvina Valcrè, benvenuta!
– Grazie, sì.
– Il viaggio tutto bene? A posto con gli abiti? Già provati?
– Sì, penso sia a posto anche l’acconciatura.
– Stai benissimo. Tu non hai ancora un agente, giusto?
– No.
– Bene, bene. Ci pensiamo noi per tutta la durata del programma. Penso sia la cosa migliore, no?
– Sì, va bene.

Lena è come in trance. La sensazione di essere altrove la elettrizza e la stordisce al tempo stesso. Si chiede quale sia la via, la chiave, il trucco per essere sé stessi e dove si è andata a nascondere la naturalezza. Se la verità è il circo e la sua famiglia o se è questo mondo qua, di arrembaggi e coraggi, di relazioni all’inizio e di tanta paura fuori e dentro di lei. Ha guardato da lontano l’attacco di Orlando a Bengala e l’ha visto come un segno che non è questa la terra giusta. Poi ha incrociato lo sguardo di Tanya ai margini della Piccola Londra, a metà tra rassicurante e severo, ed è andata a cambiarsi.
Per Tessa slacciarsi da Warren non è mai stato così difficile. La prima paura vera senza di lui, il caldo del suo abbraccio subito dopo a calmarla, a raddrizzare il clima ansiogeno della giornata, l’aggressione ai limiti della violenza di Orlando. Senza più il tremore che l’aveva percorsa in tutto il corpo, fa per raggiungere le altre ma Malvina la intercetta:

– Tessa, tutto a posto? Mi dispiace non sai quanto, non è stata un’accoglienza possibile.
– Grazie, Malvina, voi non c’entrate nulla. Scema io che mi son fatta seguire fin qui.
– Come stai ora?
– Sto bene, davvero. Bengala?
– E’ a posto anche lui.

Tobia sopraggiunge appena scorge Tessa nella strada “londinese”.

– Ehi, Tessa.
– Ciao Tobia.
– Io non ho parole. Mio fratello non è mai stato del tutto registrato ma stavolta ha veramente passato il limite. Credo che avrà parecchie grane con questa bravata. Se vuoi possiamo fare una causa comune, chiedere i danni morali, insomma, qualsiasi cosa tu voglia, io sono a disposizione completa.
– No, non preoccuparti. E’ una sciocchezza. Finisce qui, per me. La dimentico.
– Se lo fai per me, davvero, non ho problemi. Vero, Malvina?
– Penso che la società stessa interverrà legalmente, per cui è chiaro che ci saranno conseguenze in questo senso, voi non dovete far nulla. Ci pensiamo noi. Ragazzi, avvicinatevi al set. Siamo tutti pronti per la foto. Vado a chiamare Michelle.

– Ecco anche Warren. Ci siamo.

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.