Dipinti in cerchi – Quarantesima puntata

Jorge la guarda con tutta la vita che gli sta passando davanti. Gli anni difficili dell’infanzia ad Andorra, gli studi a Madrid, i primi batticuori, le folgorazioni, la prima moglie, il mancato arrivo di un figlio, gli incarichi sempre più importanti, le docenze, gli applausi, la direzione dei teatri, le giurie, i successi, gli inchini, i piccoli compromessi, la creazione di un team in un progetto all’inizio, il giorno della fine del set, la sera della prima di uno spettacolo. E Blu. L’incontro in Sicilia, la fascinazione, la paura che non fosse reciproca o che finisse, che la fine arrivasse da lei, o da lui. E che invece è arrivata dal cielo.

-Non posso consigliarti nulla. Non devo. Sei speciale. Se starai al riparo, sarà un riparo speciale. Se starai altrove, sarà ugualmente una cosa tua, forte. E intensa.

I pensieri si affastellano come note in un accordo che diventa dissonante, poi riprende quota a livello armonico per perdersi di nuovo dopo,  la voglia di esibire tutto quello che prova, fragilità ed insicurezze comprese, la sensazione infinita di sentirsi finita e piccola. Ed esposta. Altro che riparo! Questa voglia che cozza con una riservatezza millenaria, la smania di sincerità che fa a pugni con la timidezza e che fa rimanere le parole senza suono. Solo gli occhi stanno parlando a Jorge. Occhi affabulati, occhi diretti, occhi insostenibili.

Lui passa oltre, torna a guardare i monitor, il pensiero che torna alla scalinata delle caravelle e al giorno dei provini, alla voce di Blu, a quella dell’uomo, alle frasi disconnesse, al sentore di amore altrove.

-Jorge, stiamo per spegnere. Non diciamo nulla a loro, giusto?

-E’ un giorno rosa, non devono sapere niente.

-Okay, volevo solo una conferma. Ragazzi, preparatevi allo stop! Chiudete sul primo piano appaiato di Vanessa e Virginia. Lei adesso dovrebbe raggiungerla davanti alla tela. Eccola, lo sta per fare. Cominciate a stringere. Stringete. Bravissimi. Adesso, Jorge?

-Adesso!

-Stop!

Eraldo ha lanciato un ultimo sguardo alla ragazza ed ha ripreso il cammino verso il suo laboratorio, Hegel al suo passo, accanto. La botta dello schermo gigante con i volti vicini di suo figlio e della madre di lui lo ha devastato. Gli è stata proprio sferrata a tradimento, all’inizio, come uno scherzo gigante del destino, un poster delle menzogne che non ce la fanno ad arrivare fino al traguardo dell’esistenza terrena, un manifesto del rimpianto e del rimorso in un formato e con una condivisione crudeli e inaccettabili. Gli ritorna su il primo sguardo di Michelle a Verona, nel 1989. Lei che beve acqua dalla fontanella e subito dopo si tampona una lieve ferita al ginocchio con un fazzoletto:

-Ti sei fatta male?

-No, male no, ma, insomma…

-Sei caduta?

-Più o meno, una botta.

-Cammini per la strada e prendi botte? Guarda dove metti i piedi.

Lei lo guarda mentre continua a bere.

-Perché sei qui? Oltre che per fare battute scontate di approccio,

-Non sai nulla della manifestazione?

-Quale?

-Quella per i diritti degli studenti di ogni ordine e grado. La Pantera, le occupazioni in tutta Italia. Non vai all’Università?

-Sì che ci vado.

-E non avete ancora occupato?

-Non che io sappia.

-Mi sa che sei troppo ricca per occupare.

-Ma pensa? Il militante di sinistra che spara sentenze appena incontra una che si lava.

-Lo vedi? E in che facoltà saresti?

-Lingue e letterature straniere moderne.

-Ma non alla statale, immagino.

-Non lo saprai mai. Io vado.

-Dove?

-Ad occupare.

-Attenta a non prendere altre botte!

Il primo sorriso, da lontano, dopo una decina di passi di allontanamento,  di una serie continuamente interrotta. Fughe e avvicinamenti, lentezze ed accelerazioni a scandire i movimenti di una storia che nessuno dei due saprebbe definire, nella durata, nella serietà, nella verità. Nessuno dei due ha mai capito l’inizio, la fine, lo stallo, la pausa lunga, quella breve, la guerra, la pace di Eraldo e Michelle insieme. Mai amici, mai complici, mai confidenti, mai intimi. Molto sesso, molti conflitti, mai il quotidiano, sempre lo straordinario, la ricerca dello stesso. Le altitudini e le bassezze. Tre giri di inferno e mezzo di paradiso. Viaggi di conferma, viaggi di inseguimento, viaggi smessi e poi ripresi, viaggi di accompagnamento, viaggi di conoscenza. Sorrisi ed urla. Farsi male anche a distanza, viversi poco ma amarsi ferendosi. Tradirsi. Fuggirsi. Amarsi male. Amarsi peggio.

Peggio di così è impossibile.

Io ti odio.

Non ci lasceremo mai.

Non è una storia seria.

Non è quello che comunemente si chiama amore.

Sono incinta e non lo voglio.

Lo voglio io.

Non posso tenerlo.

Lo tengo io.

Tuo figlio è nato, non deve saperlo nessuno, vieni a prenderlo.

Ma dove eri finita?

Vieni a prenderlo e io per te da oggi sono morta.

Dove siete?

Annecy. Sbrigati. Non voglio vederlo, non voglio sapere che faccia ha.

Parto subito.

Io per te da oggi sono morta e lui per me non è mai esistito.

Non è mai esistito.

Non è mai esistito.

Fidel, invece, esiste e da oggi è accanto a sua madre sotto gli occhi di tutti.

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.