Dipinti in cerchi – trentottesima puntata

Il sorriso di Malvina lo aiuta, invece, anche se il cuore continua ad andare per conto suo.

All’ingresso della sala c’è Michelle che sta guardando fuori, sente i loro passi e si rivolge verso di loro, il suo sguardo trafigge Fidel di intensità e di storia, occhi che stanno attraversando i secoli, carichi di racconti, finestra del carisma e di come si possa passare sul pianeta affascinando chiunque capiti a tiro.

“Benvenuti ragazzi, si comincia e tocca a noi. Venite, vi porto a più di cent’anni fa.”

Un lieve sorriso per entrambi.

Fidel è elettrizzato dal contatto della mano di Michelle che sta stringendo la sua e quella di Narciso trascinandoli verso l’angolo destinato a set, per il momento sgombro da telecamere, almeno apparentemente, quasi corrono scivolando sul pavimento, tre pattinatori come tante volte si son visti nei film, tre moderni che calpestano suoli classici, pronti per un ballo, per un giro di danza indimenticabile in cui un ritmo renegade del 2023 diventa un charleston del 1906.

Michelle accelera e ride mandando la testa indietro, come se davanti a lei avesse una macchina da presa, Fidel e Narciso stanno al gioco con un sorriso imbarazzato ma vero, il contatto delle mani forti di Michelle, una stretta soprannaturale, un’energia che sembra provenire da un altrove non ben specificato, nella consapevolezza che un momento così rimarrà nella loro memoria per sempre.

La magia sta per cominciare. Alla regia è tutto pronto sospeso e rarefatto, tesissimo, come si respirassero banchi pesanti di aria e nessuno che possa sbagliare un passo. Jorge entra nella sala regia, uno sguardo a Malvina, l’impossibilità di essere felice come avrebbe dovuto, ma la santa voglia di rendersi consapevole dell’arrivo di un momento così atteso.

Sente convergere su di lui tutte le emozioni positive del team del regia collegato agli operatori e ai fonici sparsi nelle sale: l’inizio sarà ripreso per la prima mezz’ora e rimbalzerà su tutti i social collegati a DIC e, altrettanto a sorpresa, accenderà i maxischermi ad alta definizione di venti città italiane, al momento spenti e invisibili e che verranno accesi simultaneamente non appena Michelle, Fidel e Narciso avranno il segnale di start.

I tre attori si stringono tra loro, come fossero i veri fratelli Stephen: Michelle è una Virginia Woolf più bella, meno spigolosa, ancora più fiera ma sprigionante l’energia del personaggio e non quella della sua felicità di essere arrivati a questo istante sognato da tempo, vuole essere Virginia facendo sparire Michelle, sa che sarà una partita difficile e dolorosa ma è come se stesse per prendere il treno della sua vita, la serie di puntini che attendeva per completare la quadratura del suo cerchio personale.

Fidel sta cercando tutte le forze per non impietrirsi, la mano che Michelle, in questa manciata di secondi che stanno precedendo il segnale di via, gli sta stringendo vorrebbe che la presa non andasse mai via e spera che, essendo fratelli nella finzione, possa essere possibile rinnovarla. Narciso ha semplicemente voglia di dare vita alla sua Vanessa, splende di rigore e di luce nei riflessi del gioco di specchi che le sale del Kurhaus stanno ricreando, vede la sua immagine sdoppiarsi in mille altre, come un cristallo in un prisma, si stacca dagli altri due e va a prendere la posizione prevista dalle indicazioni del primo giorno: alla finestra, con una tela davanti, la tavolozza, i pennelli.

La sala Ohmann è tutta per loro, varcano la soglia come fosse un palcoscenico, nel silenzio totale, incuranti di cavi, cavalletti, materiali fuori scena, monitor e binari. Hanno studiato la libertà dei movimenti, gli spazi concessi, quelli inutili, quelli vietati, i tagli di luce e il canovaccio, nell’ebbrezza di non sapere se saranno soli, ripresi a sorpresa e per quanto tempo a metà tra abbracciare il concetto dell’essere privi di sovrastrutture e l’assillo di figurare comunque ben preparati e di dare il massimo. La spontaneità che cozza con l’impegno, ma l’intento, lo si legge tra le righe, è proprio quello di abbattere ogni distanza tra spontaneità ed impegno, essere giusti e perfetti per lo spettacolo in ogni momento, essere e non interpretare, una sorta di verità al massimo delle possibilità, una verità esteticamente valida, una magia.

Eraldo sta portando Hegel, il cocker nero con cui dividerà il suo appartamento, in questo periodo in cui Fidel è lontano, per le vie di Prati, nello specifico nei giardinetti attorno alla fontana di Piazza Mazzini. Nel cuore ha molte pulsioni: il senso stupido della solitudine quando si è distanti da un figlio, la percezione che anche Fidel percepisca questa lontananza e che non gli faccia dare il meglio, quasi a maledire la forza di questo legame così totalizzante.

Si chiede se se lo sarebbe mai aspettato di riuscire a costruire questo con un essere umano, quando era giovane. Anche ai tempi dell’attivismo politico e dell’amore furibondo, sapeva che sarebbe stato qualcosa a termine, che non l’avrebbe accompagnato per tutta la vita.

L’affetto per Fidel è diverso, è costruzione, è scelta, è più, molto di più, di un fuoco o di un’infatuazione sempiterna, è una solidarietà, è racchiudere tutti i suoi ideali in una persona sola, una tensione costante che è sempre misurata ma comunque viva, Oltrepassa la fontana di Piazza Mazzini in direzione Piazzale Clodio, percorrendo il viale, è ancora presto per chiudersi nella falegnameria e i pensieri si affastellano, pezzi di legna che brucia senza fumo, brace che non diventa cenere bensì fiamme, cuore che spasima e batte irregolare, esposto, o meglio in esposizione, come il blu del cielo sopra Prati, in questa strada lunga che conduce al piazzale.

Gli occhi di Eraldo si alzano, vede un nugolo di persone trafficare attorno a un cartellone pubblicitario, qualcuno che si ferma, due o tre clacson che invitano a non perdere il ritmo, qualche altro cane che drizza le orecchie e poi, improvvisa una musica che invade, forte, più forte di quanto si possa immaginare, le strade attorno al piazzale. “Zuhalterballad” di Kurt Weill si libra nel cielo e nelle strade del quartiere, si accende lo schermo gigante ed Eraldo, insieme agli altri, vede il volto attento e incantato di suo figlio, nei panni di Thoby che disfa la valigia. Accanto a lui Michelle che, su una scrivania, sta scrivendo e ogni tanto amorevolmente appoggia lo sguardo su Fidel e rivolge la parola a Narciso / Vanessa che dipinge, in piedi, davanti alla finestra.

Il cuore a mille, esposto, in esposizione, le persone attorno che, incredule, sono con il naso all’insù, testimoni di qualcosa di veramente mai visto prima. Eraldo ha l’anima in fiamme ma comprende benissimo che la luce dello schermo che riesce a sovrastare quella del giorno è un’ altra novità impressionante grazie ad una tecnologia inedita e dagli effetti stupefacenti,

In pochi istanti le persone si moltiplicano e rimangono a bocca aperta con gli occhi addosso a Michelle, Narciso e Fidel:

– Presto vi presenterò Violet.
– Violet? La ragazza che hai conosciuto in India?
– Sì
– Un nome primaverile. Che voce ha?

Eraldo rimane senza fiato. Non si aspettava un inizio così improvviso. Non si aspettava che sarebbe stato così difficile. Scruta particolari che gli altri spettatori, ai quattro angoli d’Italia, non stanno notando: Narciso non somiglia molto a Michelle e nemmeno a Fidel. Ha colori diversi, non sembra la loro sorella. Gli altri due, invece, tradiscono una somiglianza imbarazzante ed Eraldo comprende che, probabilmente, dietro la scelta di casting ci sia anche questo aspetto.

Non poteva pensare che il suo segreto gli venisse sbattuto in faccia subito.
Non poteva pensare che sarebbe durato per tutta la vita.

Trema, guardando l’inquadratura chiusa sui primi piani di entrambi. A sinistra la sua ragione di vita. A destra la donna per la quale è andato a fuoco circa 25 anni fa. Lo diranno tutti che sono due gocce d’acqua, forse lo stanno già pensando.

Lo sguardo pensoso e illuminato, il naso leggero e ben distanziato dagli occhi e dalle labbra. Le labbra, appunto, pronunciate come un capriccio, una mostra aperta per pochi. Il mento altrettanto importante e la carnagione chiara, costellata da lentiggini poco evidenti, nel primo piano più visibili, grazie al trucco quasi teatrale che è stato messo a punto sui loro volti.

Non poteva sperare che tutto fosse così sepolto e che rimanesse così.

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.