Bengala avrebbe voluto stringere la mano almeno a Fidel, dopo la sfida in creuza e tutto quel clamore attorno al duello mediatico. Non c’è stato il tempo, c’è stata un’onda dopo l’altra a velocità ininterrotta, come se gli eventi fossero stati troppo ravvicinati per essere vissuti con le qualità e le caratteristiche di ognuno.
L’aggressione di Orlando, le rose malmenate, il fuoco in faccia, il trucco subito dopo, assieme alle cure, i ritmi strettissimi e, direbbe, magici, dello shooting e subito tutti via, lontani dalla folla. Si cerca la folla per fuggirla. Oppure: si fugge la folla per far sì che ti cerchi.
Questo lo sta imparando a discapito di quel che ha dentro, dissonanze, insincerità, difficoltà a comprendere. Non era mai capitato che qualcuno gli sbattesse la complessità del suo nome così direttamente, negli occhi di Orlando ha letto una certa disperazione che l’ha riempito di sospensione. E si chiede se lui, giorni fa, dopo che Fidel l’aveva battuto nel duello avesse lo stesso rancore nei suoi confronti. Lo stesso ostacolo da spaccare perché si è frapposto tra lui e l’obiettivo, tra lui e l’ambizione, tra lui e il merito. Non riesce a darsi una risposta e al momento gli dispiace soltanto che non sia riuscito a stringergli la mano.
Che mestiere è il nostro?
Quanto è affidato al caso?
Quanto ti stupra dentro l’idea che devi sfruttare la stagione buona al massimo?
Quanto e quando potrai comprare una casa?
Impegnarti a lungo termine?
Quanto e quando potrai essere sicuro di condurre un’esistenza dignitosa senza vergognarti violentarti snaturarti?
Ci ha sempre riflettuto tanto, sono ragionamenti che l’hanno tenuto sveglio e in allerta per tanti anni ma non se ne era accorto mai così bene. Orlando Spilimbergo gli è sempre stato simpatico, un ragazzone estroverso con un sottofondo malinconico che aveva anche convocato per un paio di provini poi non andati a buon fine. Altre volte l’aveva incontrato a Roma al festival del cinema. E a Venezia, anche, di straforo, il tempo di una battuta, anche lì, e poi un vaporetto che portò via uno dei due.
Quante persone sfiora un uomo di spettacolo? E quante se ne perde in questo sfiorarsi?
Quante volte la prima impressione è quella che conta che poi non c’è più tempo, che poi non è vero niente perché di tempo ce n’è tanto e attese e noie e non lavoro e attese mentre lavori e noie mentre non lavori e attese e noie e attese e noie e attese.
Ero portato per altri mondi? Per altri mestieri? Quanto somiglia a un non talento il talento per lo spettacolo? Quanto me lo sto chiedendo? Quanto mi sento vuoto già adesso dopo questa cosa in mano, questo progetto che sta per diventare realtà e come mi sentirò subito dopo? Quanto mi riempie e quanto mi ammazza? Quanto mi ammazzerà? Ma siamo sicuri che proprio noi, esseri forse più sensibili della media, siamo fatti per questa vita che ti toglie le certezze giorno dopo giorno? Siamo sicuri che le solidità e le monotonie da cui fuggiamo non siano dei desideri nell’orizzonte di attesa di una persona normale? Di una persona realizzata?
Per la conferenza stampa, sin dall’inizio, Jorge Carrasco aveva pensato ad un luogo col vento, un agente naturale che esponesse i corpi e le anime dei protagonisti alle intemperie, che li mostrasse interi e nudi, percuotibili, carnali. Abbandonata l’idea di Trieste, fin troppo scontata, della Sardegna, perché, oltre al vento, in questo febbraio è spuntata anche la neve su quasi tutta l’isola, erano rimaste Messina, un ipotetico ritorno a Genova e la Toscana. Malvina, con tempi strettissimi e le comunicazioni con Jorge ancora col contagocce, nei giorni immediatamente successivi allo shooting ha chiuso il cerchio con due proposte da far vagliare a lui, non appena la sua presenza si fosse resa meno ondivaga:
Peccioli, non lontano da Pisa, e Rovereto, come tappa svelatrice di avvicinamento a Merano. Jorge ha guardato le immagini della terrazza sospesa di Peccioli e non ha avuto dubbi, come se avesse sentito sulla pelle il vento. Ha percepito i dieci protagonisti come esposti alla natura, nudi, battuti dall’aria e, appunto, dal vento. E a Malvina ha risposto: “Qui! Dopodomani. Dillo anche ai dieci coach.
Ci vediamo sulla terrazza.” Subito dopo ha preso il cellulare di BluRose e, col cuore in sussulto, è andato sulla galleria delle immagini, convinto che quella terrazza fosse stata usata, mesi fa, per un lancio con la mongolfiera. La ricerca è durata pochi istanti: prima un video da sotto, poi un paio di scatti da sopra, dall’interno del Palazzo senza tempo, uno direttamente dalla mongolfiera, ancora da più in alto e infine un selfie sorridente di lei che inquadra sia la terrazza che le colline attorno.
Malvina non sa se esser contenta che tra due giorni, finalmente, Jorge si paleserà perché non sa con quale spirito, quale forza d’animo, quale energia positiva tornerà a collaborare con lui. Dopo lo shooting si aspettava qualcosa di più di questo silenzio deciso. Il rispetto dei tempi di reazione, d’accordo. Ma ogni ora le è sembrata un anno e mezzo e adesso che tra le mani ha la risposta di Jorge sta razionalizzando che son passati solo due giorni.
Febbrili, strapieni, pratici e psicotici al tempo stesso, solo suoi, senz’altro, ma solo due giorni dal funerale. A Merano il tempo sembra passare velocissimo ed eterno, le sale sono quasi pronte ma non si finirebbe mai di perfezionarle e il concetto di bellissimo muta col variare del sole anche in una sola giornata.
Qualcosa che sembra funzionare splendidamente alle 10 di mattina, alle 15 è già un pensiero accantonato, la ricerca è sulla durata, non su fuochi di paglia o su visioni effimere e ogni cambiamento è salutato da tutto lo staff come il benvenuto, dato che il messaggio che sottende tutto è proprio una reazione alla poetica dell’istante.
A tutti questi cerchi che affollano i social oggi e che domani saranno già dimenticati. Al confine misterioso tra le persone e i loro profili, all’incapacità di perdurare nel tempo, che si sia artisti o meno. Al dolore di questo, al confronto impietoso con gli spessori del passato e ai tuffi nel passato, appunto, che il progetto vuole sviluppare.
Ora che c’è una data e un luogo per la conferenza stampa ( il lampo di genio di Peccioli le è arrivato da qualche immagine sui social e la terrazza sospesa l’ha lasciata senza fiato, convinta che il concetto di vento fosse assai collegato a questa esposizione alle colline toscane molto più che qualsiasi città dalla “fama ventosa”), questi due giorni passeranno in un lampo: i messaggi ai coach, le convocazioni ai protagonisti, la speranza di non avere repliche né minacce da parte delle due star, di riuscire a mantenere il riserbo meglio che per la Piccola Londra, di non avere nessuno Spilimbergo in più che provi a sfigurare nessuno. Anche se il riserbo per una conferenza stampa, lo pensa con un ghigno amarognolo, è qualcosa di paradossale e ossimorico. Come muoversi tra il ghiaccio e il fuoco.
La scelta di un paesino di collina di cinquemila abitanti nell’Italia centrale, con stazioni dei treni ed aeroporti piuttosto distanti, viene subito abbastanza messa in discussione sia dai social che dalla stampa stessa per l’oggettiva scomodità, lo scarso preavviso, l’eccentricità che diventa spocchia più che mistero, patina e schermo.
Ma l’hashtag nessunluogoèlontano e soprattutto lo scatto dall’alto della terrazza sospesa veicolano bene la comunicazione e aggiungono interesse ed attenzione. La foto del lancio Malvina l’ha ricevuta da Jorge stesso: si tratta dello scatto di BluRose dalla mongolfiera. La forma della terrazza sembra davvero parlare di un’esposizione alla natura, un portentoso sporgersi verso le colline, la ricerca di un afflato, di un abbraccio impossibile da realizzarsi.
A Malvina scappa un sorriso quando nelle previsioni meteo a breve termine scorge la totale assenza di vento.
Come prevedeva, le ore che la separano dalla conferenza stampa si muovono veloci, tra contatti con le istituzioni locali, ben liete di ospitare un passo così importante di un simile progetto, risposte scomode ma non impossibili da parte dei protagonisti e dei loro agenti, la disponibilità dei coach, una serie di attori/professori selezionati tempo fa per le loro competenze sia attoriali ( per i non professionisti ) che culturali e specifiche relativamente al gruppo di Bloomsbury ( per tutti ).
Jorge le ha assicurato che stavolta ci sarà, che ha bisogno, anzi, di tuffarsi in qualcosa che profumi di futuro, che il futuro non sa nemmeno immaginarselo per lo stato in cui è e che ha bisogno di vedere le cose muoversi, di lasciarsi andare al vento della vita, nell’estremo bisogno di esistere ancora, dopotutto. Le sue ore non passano altrettanto veloci, a Genova stare a casa è uno stillicidio, un gocciare perenne di sentimenti svuotati di senso eppure pulsanti.
Goccia a goccia, il legame di BluRose batte in ogni angolo, urla nelle stanze e risuona nei mobili.
La forza distruttrice che a tratti lo divora riesce a perdonarsela pensando che forse la volontà di apparare tutto, ovvero la morte di lei con la distruzione dei suoi segni, può essere giustificata, avere una qualche valenza emotiva. Non gli interessa neanche approfondire il pensiero, non gli interessa la partita tra il buon senso e il dolore, tra la misura e l’assenza, tra l’amore sanguinante e i vuoti. Vuoti di senso, altro che buon senso.
Di mattina è ossessionato da questo, di pomeriggio si fa invadere dai dubbi, riprende in mano il biglietto e lo rilegge trenta quaranta volte al giorno:
L’amore è una cattedrale in fiamme. E cerchiamo sempre di seguire la scia del fumo che fa. Grazie per il tempo passato insieme. Un tempo interrotto, un tempo rubato ad altri, probabilmente anche a noi stessi.