Dipinti in cerchi – ventiquattresima puntata

Improvvisamente Roma del 2023 diventa un angolo di Bloomsbury di cent’anni prima. Si avvicinano tutti e dieci al duetto di palazzine attaccate prescelte come sfondo: basse, una rosa e una gialla. Le tinte degli abiti variano dal bianco al beige. Bretelle si alternano a gilet, tessuti che vanno dal lino al fustagno, cinture, cappelli, cravatte. Ma anche maglioni, gonne ampie a pieghe di lana e fiori all’occhiello.

Chiunque si stia accorgendo di loro si fa scappare un’esclamazione ammirata, sembrano una locandina vivente, fatti per stare insieme da sempre. Spariscono i segni dal viso di Bengala, scompaiono le scosse emotive dal volto di Tessa, le preoccupazioni silenziose di Warren, la riservatezza estrema e bloccata di Lena. Martina Neva, con un copricapo a falde larghe, appare come se attendesse da secoli questo momento: concentratissima, ispirata. La stessa magia traspare dai lampi negli sguardi di Narciso. E dalla distanza algida di Michelle. L’ultimo divismo possibile.

Tobia somiglia a un semidio: titubante mentre si cambiava, ancora incerto sul da farsi, sembra timonare il gruppo dal momento esatto in cui inizia lo shooting, un carisma ineguagliabile negli occhi. Dritti, immobili, fatati. Nathan ha i colori più vicini al chiaro degli abiti, probabilmente se ne accorge perché è l’unico che trattiene un po’ di movimento anche nella fissità fotografica.

Lo immagini muoversi mentre sta fermo, come non avesse senso cercare di bloccarlo in uno scatto o in un quadro. Qualcuno fa partire l’incanto musicale di Desplat con la colonna sonora di “Un heros très discret” in un diluvio di archi dissonanti il che rende Roma ancora più sospesa nel tempo e nello spazio. La verità di Fidel fa scalpore in tutte le foto. La sua autenticità urla, il cuore intenso, l’anima che vibra. La verità o la morte, come il titolo del brano che sta facendo volare sia chi scatta che chi viene inquadrato.

– Adesso provate a muovervi. Gesti anche senza senso. Anche rallentati. Ogni tanto uscite dal gruppo e rientratevi. Qualcuno salga e scenda dagli scalini. Bravi, così. Cercate di tornare alla scalinata delle caravelle. Di ritrovare quel mood dentro di voi. Bravi. Fatelo.
Il gruppo ubbidisce e sembra che abbia provato l’amalgama da settimane.

– Adesso dividetevi in maschi e femmine. Le ragazze tutte a destra. I ragazzi in cima alle scale. Bene. Così. Warren, tu fai come se dovessi suonare alla porta. Narciso, sorridi. Grazie. Fidel continua così, guarda sempre l’obiettivo. Nathan, fingi di distrarti, guarda altrove, l’orizzonte, le nubi, le macchine, qualcosa di distante. Ecco, grandissimo Tobia, fatti più vicino a Martina Neva adesso. Perfetto. Bravissimi ragazzi. Ora proviamo un po’ di minigruppi. A quattro, a tre, a due. Provate ad alternare le pose, ora frontali, ora laterali, qualcuna anche di spalle. Ricominciamo.

Il fotografo ha le idee chiarissime, Malvina che gli è accanto si emoziona per come le idee riescono a prendere forma, sarà la musica, sarà che la città sembra avere il traffico bloccato e i problemi appaiono tutti da un’altra parte ma in questo momento sente di essere parte di un tutto bellissimo, un motore che continua a carburare e a muovere gli esseri umani verso un’idea comune di felicità.

Adesso la musica è meno sincopata, molto più epica e mentre il tramonto si avvicina le note di “Mission” di Morricone invadono il set. I passanti si stanno moltiplicando, tenuti a dovuta distanza, ma il capannello si sta facendo importante. La gente capta che qui c’è vita e vuole succhiarne un pezzo, mettersela in bocca e portarla nella pancia, custodirla finché può, prima di farsi invadere di nuovo dalla sopravvivenza. La bellezza del tutto colpisce sia Malvina che l’intera troupe.

Il senso fin lì misterioso e vago si sta svelando e mentre la musica scema e il fotografo chiude la sessione complimentandosi con tutti, è il momento della consegna dei canovacci. Anche Michelle finalmente sorride. Sta riprendendo sé stessa dopo stagioni di ritiro e ritrova il piacere dell’essere generosi. Alla base della vocazione dei cinque professionisti c’è sicuramente la generosità del donarsi in tutte le fibre a chi è disposto a guardarli e a cibarsi di loro.

Ma la molla che ha portato fin qui Lena, Fidel, Martina Neva, Narciso e Nathan sembra essere identica. La sincera voglia di regalarsi. Di espandersi. Di ispirare.

– Malvina, uno scatto anche per te, prima che smontiamo tutto. Vai, dai, per suggellare il momento.
Malvina ha gli occhi che scoppiano quasi di commozione:
– Forse è meglio di no.
– Non farti pregare, dai che è tardi. Su che sei bellissima.
Titubante, si avvicina alle scale appena lasciate deserte dai dieci che stanno raggiungendo le roulotte e i separè. Per terra, sulla stradina, i brandelli delle rose che Bengala non ha fatto in tempo a consegnare. E un paio di occhiali da sole abbandonati sul terzo gradino di uno dei portoncini delle case gialle.

– Vai che questa l’abbiamo portata a casa anche senza Jorge! Sorridi, stai benissimo.
Malvina si sente nel punto esatto in cui avrebbe voluto essere da tempo. Piena, circondata, ma libera. Gli scatti immortalano un sorriso da copertina e una libertà senza fondo.
Ai margini della via, Eraldo sta aspettando Fidel, è uscito di corsa dalla sua falegnameria, ha proprio cominciato a correre per le vie di Prati, pentito di averlo lasciato da solo. Arriva che Fidel è appena tornato agli abiti contemporanei:
– Papà!
– Fidel!

Lo abbraccia più del solito, più del dovuto.
– Com’è andata?
– Benissimo. Una sensazione pazzesca. Non credevo. Non so se sia stata la musica, se è a causa del tramonto, se è per via di tutti gli altri ma… ci siamo davvero trasportati, non so spiegarti.
– Che musica c’era?
– Non ho capito la prima. La seconda era Morricone, penso “Gabriel’s Oboe”.
– Mission.
– Esatto. Ma…
– Dimmi.
– Come mai non sei voluto venire e poi ci hai ripensato?
– Perché mi sono sentito di troppo, all’improvviso. E poi invece ho sentito un vuoto e mi son detto che se lo stavi sentendo anche tu non aveva molto senso essere a qualche isolato di distanza invece che qui.

Fidel lo guarda. Gli conta le rughe, le espressioni degli occhi più piccoli dei suoi, lo stesso naso, una bellezza più sfacciata. Lo abbraccia di nuovo.
– Non devi mai sentirti di troppo.

Eraldo avrebbe molto da dire, sia su quante volte si è sentito di troppo che su quante si è sentito troppo poco, insufficiente, solo. Avrebbe da tirar fuori vicende e ferite, calamità sentimentali ed identità mai svelate, ma sente che il momento, per Fidel, è già complicato così e non può assolutamente fare un passo in più.

– Non farlo mai più. Non farti guidare da sensazioni così sceme.

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.