Un abbraccio che non finisce, con le parole che sono soffocate da pezzi di corpo dell’altro per quanto sono stretti, con le lacrime che si trattengono negli occhi e qualche goccia finisce sul soprabito dell’altro, nell’ultima luce prima dell’imbrunire mentre il set è ormai smontato – l’ordine di non dare nell’occhio che impone la fretta, il proibito a tutti di pubblicare qualsiasi anteprima – e quasi tutti si sono cambiati, tornati all’ordinario di una vita con le pause, piena di banalità imperdonabili, senza la missione di far sognare più nessuno, deprivati di valore.
Il rapidissimo assaggio di essere sotto i riflettori ha drogato Martina Neva che l’ha vissuto come una conferma di quanto credeva che sarebbe stato. Nel viaggio di ritorno con Narciso entrambe non son riuscite a dire granché, incerte tra iniziare forzatamente una serie di conversazioni o lasciarsi andare al fascino del silenzio e dei pensieri. Narciso ha riempito pagine di schizzi a matita, mostrandoli di tanto in tanto a Martina Neva e ottenendone una certa ammirazione.
Lena, invece, è più stordita. Ha captato la generosità nel darsi, ne ha parlato con Tanya in poche battute l’attimo prima di abbracciarla a lungo tremando ( cerca di essere la mia casa, cerca di rapirmi, cerca di non farmi tornare indietro ) ma non ha realizzato alcunché. Nathan ha guidato verso Latina pieno di adrenalina, Kurt gli ha telefonato subito dopo lo shooting, si è fermato in un autogrill vicino Pomezia per un caffè al banco, si è girato alla sua sinistra e ha trovato due occhi puntati:
– Ma tu sei quello che si è tuffato di notte in Sicilia da quel castello?
– Sì. Sono io. E tu? Chi sei?
– Clarissa. Complimenti per il video. Virale in un attimo. Eri tu sul serio?
– Certo che ero io.
– Hai da fare adesso?
– In che senso?
– Hai mezz’ora?
– Beh, volendo sì. Perché?
La ragazza si avvicina e gli sussurra:
– Ho voglia di fare sesso con te.
– Cosi? Dal nulla?
– Dal nulla? Ma lo sai quante volte l’ho visto quel video?
– No
– Venti. E non ti dico gli altri che hai pubblicato. Ti sorprende?
– Beh, cosa dovrebbe sorprendermi?
– Che io voglia fare sesso con te. Il tuo profilo è così esplicito, non penso che ti fai problemi.
– Nessun problema. Esplicito?
– Beh, sei mezzo nudo un giorno sì e l’altro pure. Non cadere dalle nuvole. O vuoi dirmi che usi i social per altri motivi?
– Oddio, non ho mai pensato al motivo.
– Non ti facevo così ipocrita. Non così sfacciatamente, almeno. Vuoi scopare o no?
Bengala mentre guida la moto verso casa pensa che non c’è stato nemmeno il tempo di stringersi la mano. Michelle sta controllando se nel canovaccio c’è tutto quello che aveva concordato con Jorge e, seduta sul divano dello studio di casa sua, rannicchiata, scalza, con la sigaretta tra le dita, accarezza il momento di quando le idee diventano finalmente concretezze e azioni.
Tessa cerca notizie sulla persona che dovrà interpretare, prova a mettere in stand-by tutto il vissuto che esula dal progetto, spera che rimanere a Roma qualche giorno possa giovare al suo equlibrio. Mentre cerca sul web puntando su voci autorevoli e di nicchia, si imbatte nella foto di BluRose e torna alle sensazioni di quella mattina, ai rumori, all’urto. L’istruttrice era lei. Cerca di ricordare il suo sguardo dal vivo, rintraccia nella memoria un magnetismo di un certo peso, una luce essenziale negli occhi. Essenziale ma chiusa, quasi spenta.
Avrebbe voglia di commentare con Warren la beffarda coincidenza, di sentire che dice ma non può e caccia via il pensiero, come uno degli ennesimi colpi di coda della fine. Warren, in ogni caso, è stato portato via dal set quasi di peso da Tobia che, per la fretta, ha anche lasciato alla Piccola Londra i suoi occhiali da sole. Il timore di Tobia di incontrare Orlando gli ha rovinato il momento e ha provocato nuovi dubbi su tutto il progetto, che gli sembra esser nato sotto una stella infausta. La certezza che suo fratello non ci sarà non lo ha rassicurato:
– Ma tutta questa velocità?
– Warren, scusami. Mi stava stretto tutto. Scusa se ti ho messo fretta, davvero. Non ho pensato nemmeno che forse volevi rimanere a vedere se Tessa stava bene. Mi sento responsabile. Ma sono fuggito. L’invidia di Orlando mi fa paura, credimi. Ho avuto paura che tornasse lì. Non ho pensato a nient’altro. Sono sincero. Non avrebbe senso mentirti.
– Ti ringrazio ma no. Non dovevo parlare di nuovo con lei. Penso di aver fatto abbastanza. E devo stare molto attento. E’ una fase senza naturalezza, non possiamo permettercela. Ma non ci hanno nemmeno svelato il luogo dove saremo.
– Ah, questo è vero. Più tardi chiamo Malvina.
Orlando ha preso un thè in un bistrot, si è tolto solo il cappello, ha riflettuto un po’ sull’ultima mezz’ora e non si è giudicato, a metà tra spinta impossibile da mandare indietro e sensazione di aver perduto il senso della misura in modo altrettanto impossibile da respingere. Cerca, ad ogni modo, di razionalizzare e di capire perché si sia spinto così oltre: non è invidia, è piuttosto fallimento di un progetto cui teneva molto. E’ senso di giustizia aspramente violentato, è unghie e denti che sollevano contro un masso appuntito che ti sbatte giù, lontano dal sogno. E’ Tobia che diventa famoso con un paio di scene, è il talento che diventa accessorio, è il senso dell’attesa che non finisce mai, è il potere e la mancanza dello stesso. E’ la fratellanza non goduta, o quantomeno mal ricordata, mal vissuta, tradita.
Dove è cominciato il tradimento? Dove eravamo, Tobia? E come è successo? Due anni di differenza, scarsa somiglianza, specie nei colori, Orlando più chiaro dell’altro, caratterialmente più espansivo, pronto ad azioni più plateali sin dall’infanzia, onnivoro, alla ricerca inesauribile di sensazioni. E Tobia, più riservato ed umbratile, tagliente e per nulla protettivo, assai concentrato su sé stesso sin dall’infanzia. Piccoli tafferugli crescenti tra i due quando erano adolescenti, rari squarci di solidarietà ( il periodo in cui correvano insieme e vincevano gare e partivano per le maratone ), molti silenzi incompresi poche volte interrotti. Da una parte la chiusura introversa di Tobia, dall’altra l’impossibilità di capire un mondo così chiuso su sé stesso da parte di Orlando.
E la divaricazione che avviene, annunciata, quando entrambi scelgono la strada della recitazione, con approcci diversi. Il teatro e i piccoli passi per Orlando, la fortuna e la lungimiranza di un’agenzia per Tobia. Nei frammenti delle loro rispettive carriere, è impossibile azzardare una graduatoria di merito. “A forza di farlo, il mestiere si impara”, diceva il loro papà e ad Orlando bastavano quelle quattro parole per avere un piccolo alleato, un testimone che il successo di Tobia stava diventando spropositato di fronte al talento puro. Per non assistere a questo divario tra fortuna e merito, Orlando, tre anni fa, è andato in India e ci è rimasto dodici mesi: ha girato tre film.
Si è divertito. È andata bene ed è tornato in patria nella speranza che quest’esperienza possa valere qualcosa nel sistema Italia, è diventato più scaltro, ha cominciato a sfruttare i social e a costruirsi una popolarità dal basso. Che continua, purtroppo, a non far rima con credibilità. Si è reinventato, si è disintegrato, ha dimenticato la nuvola della preparazione ed è appunto sceso a patti con la contemporaneità. Con risultati non completi: un tour teatrale interrotto alla terza replica per il Covid, un profilo social che cresce ma che non lo identifica come attore, un sottile senso di inadeguatezza pronto a fargli fare il salto verso la rinuncia al mestiere. Tutto questo mentre Tobia raggiungeva il successo pieno e apparentemente senza sforzi. Un film dopo l’altro, qualche iniziativa benefica, tre spot pubblicitari di grande rilievo.
Non improvvisamente, ma tra le star, o quantomeno tra i big italiani. Tassello dopo tassello: un aspetto che lo rende molto più bello a 30 che a 20 anni, un agente, sempre lo stesso dagli esordi, di grande fiuto, qualche rara ospitata televisiva di visibilità piena dove Tobia ha giocato con il suo carattere, mostrandosi molto meno timido del previsto come a soppiantare il luogo comune che lo vorrebbe timido e distante. Ecco fatto. Il manifesto del lieve divismo peninsulare.
Mentre sorseggia il thè, verso la fine, ad Orlando torna in mente l’ultima maratona corsa insieme, a Roma: lo sguardo di Tobia che lo sorpassa all’ultimo chilometro senza sorridergli prima di imboccare il viale che conduce allo Stadio Olimpico:
– Ah, Toby, ma che figata, sei già qui, vogliamo arrivare insieme?
Tobia che non gli risponde e accelera, come può, il passo. Orlando sarebbe pronto, come spesso ha fatto, a decelerare per arrivare, si usa, l’ha visto fare, dandosi la mano. I tempi sono sempre stati diversi, a favore di Orlando, ma ultimamente Tobia è migliorato tantissimo. E stavolta sarebbe possibile.
– Toby? Hai accelerato per questo?
– Toby? Perché non rispondi?
Se esiste un’amicizia tra fratelli, quella fu la fine definitiva della loro. Il candore di un cuore di uno che prova a interpretare la realtà più bella di quella che è contro il grigio scuro del silenzio chiuso dell’altro.
Orlando si alza dal tavolino con quest’immagine negli occhi di Tobia che taglia il traguardo trenta secondi prima di lui, si è chiesto che bisogno ci fosse di quella piccola rivalsa sportiva, di quanti danni possa fare il peso della frustrazione. E adesso si sente esattamente così: un frustrato che ha aggredito Tessa, che ha puntato i bengala premeditatamente contro Bengala, che ha seminato lo spavento verso un gruppo di persone che stima e a cui vuol bene. Per colpire la sensibilità di uno. Quando quello colpito, mentre torna sui suoi passi verso la Piccola Londra, come a controllare che non sia stato tutto qualcosa di onirico, è proprio lui. Fa il cammino a ritroso, si chiede se ci saranno delle ripercussioni legali, vorrebbe scusarsi col mondo, vestito da cent’anni fa così com’è ma ha nausea dei social, ha nausea di sé stesso che fa il pagliaccio, si toglie la giacca e i baffetti posticci, rientra nella Piccola Londra, il varco è aperto e non c’è più nessuno, inquadra le palazzine, le scale, i colori, si avvicina e raccoglie gli occhiali da sole di suo fratello. Come a toccare con mano la verità di quel che è accaduto.