Dipinti in cerchi – ventesima puntata

Bengala Bassani legge il contenuto del messaggio mentre è alla guida della sua moto e ci arriva in un attimo. Non gli serve nemmeno andare sul motore di ricerca. Cambia direzione, gli scappa un sorriso di tenerezza verso chi non sarà così rapido a risolvere l’indovinello e tira le marce della sua Honda 500 con cui è partito dalla Toscana, sfrecciando tra le corsie del raccordo anulare.

• Meglio, ci arrivo prima.
• Pronto, signora Monnati Blanchard, sono Malvina Valcrè, l’assistente di Jorge Carrasco.
• Mi dica.

Il tono è fermo, raggelato, anche stanco.

• Spero di non disturbarla.
• Mi dica.
• Volevo comunicarle, forse le sarà arrivato anche un messaggio sul cellulare, che abbiamo dovuto cambiare il luogo per la foto di gruppo e la consegna del canovaccio previsto per oggi.
• Improvvisamente.
• Sì, improvvisamente, poi magari le spiego dal vivo, io sono appena arrivata all’aeroporto. Non siamo più al Pincio ma nella Piccola Londra, a Flaminio.
• Conosco. L’orario è rimasto lo stesso?
• Posticipato di una mezz’ora. Grazie mille. E la prego di non farne parola con nessuno, abbiamo dovuto cambiare la sede per quello.
• Non è mia abitudine divulgare informazioni riservate.
• La ringrazio, non avevo dubbi.
• A dopo.
• A dopo, buon pomeriggio.

Ernesto Nathan, sindaco di Roma italo-inglese, a inizio ‘900 commissionò all’architetto Quadrio Pirani una serie di villini che non dovevano arrivare al terzo piano, sulla base del modello inglese di edilizia sociale. La Piccola Londra, appunto, oggi piuttosto nota grazie alle foto sui social, nonostante non sia scontato trovare il varco alla via aperto e percorribile.

Dopo un’ora arriva il secondo indizio via sms a tutti e dieci i protagonisti di DIC:

1. Nathan
A Nathan Meravigli i due messaggi arrivano insieme, mentre sta facendo una piccola sosta a Latina dalle cugine. Lo stanno portando in giro da ore sui luoghi storici della città: non il palazzo a M, ma le location di Prisma e la panchina dove Tiziano Ferro scrisse “Xdono”. Passano in rassegna le tre piazze e persino la piscina come tre attori più che come fans, lui, Caterina e Clarissa, con tre cappotti lunghi color senape, acquistati lo stesso giorno on line, all’indomani della visione dell’ultima puntata della serie. Stamattina a Latina c’è un insolito vento che scompiglia i ricci di Nathan e quelli delle cugine, nonché i finali dei cappotti di tutti e tre e le sciarpe e i foulard neri. Nathan ha la chitarra a tracolla.

• Ecco, la panchina è questa.
• E quindi ce la devi suonare qui. Porta bene.
• Addirittura?
• E certo!
• Ma io mica l’ho composta qui la canzone.
• Che c’entra? Dai dai, sfodera!

Mentre Nathan libera la chitarra dalla custodia, Clarissa lo tempesta di domande:

• Te l’ho già chiesto, okay, ma l’idea del tuffo? Quando ti è venuta?
• Subito dopo aver letto che ero stato preso. Mi tuffo da sempre. Non potevo non tuffarmi dal castello. E’ il tuffo più bello del mondo. Ma sto vento? Mi sembra di esser tornato a Trieste!

Si guardano e hanno lo stesso colore degli occhi tutti e tre. Da sempre. Il verde fluo che li distingue dal resto del mondo. E più ridono più il colore si accende, svettando sul resto del viso. Nathan si è sempre chiesto come sarebbero stati gli occhi di un fratello o di una sorella, se altrettanto fluo come quelli delle cugine, sorelle tra loro. O magari no. E appoggia il rimpianto di non aver avuto fratelli su questo quesito inutile.

• E il prossimo tatuaggio? Sarà una regina?
• La regina mai. Semmai il secondo alfiere.
• Così trasversale, obliquo. Ti somiglia?
• Ma è partita l’intervista, Clarì?
• No, dai, quella dopo l’esibizione.
• Ci credi che non riesco nemmeno a tirar fuori la chitarra con sto vento?

Ridono ancora.

Prima di cominciare a cantare, Nathan cerca di decifrare i due messaggi dalla produzione. Si preoccupa il giusto per quell’ “E. Nathan”, ma non teme ci siano novità negative in vista dedicate a lui, per le estromissioni non c’è più tempo e non ci sarebbero motivazioni. O forse il video del tuffo? Si siede sulla panchina, toccando le scritte inneggianti a Tiziano Ferro presenti sullo schienale, comincia a cantare e gli passa ogni dubbio, sente che non è tempo di paure ma di inizi e partenze, non di addii ma di novità buone e di aperture dell’anima.

Negli stessi dieci minuti, Malvina e Jorge sono all’aeroporto di Fiumicino senza saperlo. Lui ha tenuto d’occhio la bara per tutta la durata del volo, alzandosi puntualmente ogni quindici minuti. Vuole prendersi cura dell’ultimo viaggio, fare in modo che tutto proceda come deve, e come non è stato per l’ultimo volo di BluRose. Lei, di gran fretta, gli occhi perennemente rivolti al cellulare per controllare in mail le risposte dei protagonisti o i quesiti degli agenti dei professionisti, si dirige verso la Piccola Londra, continuando ad aggiornare Jorge passo dopo passo.

Per raggiungere Genova ha preferito prendere un’auto a nolo, viaggiando da solo con BluRose dietro di lui. Non lo spaventano i 500 chilometri che lo separano dalla città che ha visto crescere il suo amore con lei, anzi, guidare gli farà bene e potrà parlare a BluRose come non ha potuto fino ad ora, cercando di farsi prendere in pieno dal dolore e di essere in grado, se mai sarà possibile, di affievolirlo, di conviverci, di renderlo quasi normale.

Intanto Orlando Spilimbergo si “traveste” da Edward Morgan Forster, il personaggio che avrebbe dovuto interpretare per il programma: ha preso in affitto l’abito scuro inizio ‘900, il cappello bianco con la fascia nera quasi da gondoliere, la cravatta scura con un nodo strettissimo, si è tagliato la barba del tutto lasciando sopra le labbra un paio di baffi sottili, ha acconciato i capelli con una riga profonda, dalle tempie al centro del capo, dopo essersi studiato a dovere tutte le foto che ritraggono lo scrittore. Tira un sospiro pesante e affronta la scalinata del Pincio da Piazza del Popolo, pronto a far finta di nulla, di non sapere che non è più tra i protagonisti di “Dipinti in cerchi”. Giunge al Pincio in grande anticipo e non gli sembra così strano non ci sia ancora nessuno. Si guarda intorno, pubblica un selfie e una storia, con un sorriso che trattiene un retrogusto amaro, gioca con il cappello, lo indossa, lo toglie, lo indossa di nuovo, usa un filtro che rende le immagini in un bianco e nero super finto e pronuncia più volte la frase :

“One person with passion is better than forty people merely interested”

• I’m Edward Morgan Forster, the writer of “A passage to India” and of “A room with a view”, I like so much Italy and today I’m in Rome, in Pincio, do you know Pincio?
Ferma un passante e inizia una live:

• Ehi, do you know Pincio?
Il passante passa ignorandolo. Orlando si guarda attorno, sospende la diretta e comincia ad insospettirsi, Chiama sua sorella Cristina:

• Pronto, Cri? Ma Tobia è partito in orario per Roma?
• Sì, andava con Warren Sartor, perché?
• Perché sono al Pincio e non vedo ancora nessuno.
• Ma tu perché sei al Pincio, scusa?
• E dove dovrei essere?
• Sai benissimo che non sei più nel programma, perché fai così?
• Scherzi? Io sono già nel programma, guarda la storia sui social. Sono già Edward Morgan Forster. Sono bellissimo.
• Orlando, perché fai così?
• Cri, ma così come? Pensi che non lo so che la foto pubblicata è solo un pretesto e che il nostro caro fratellino non mi voleva tra i piedi e avrà fatto tutte le pressioni che poteva fare? Bengala Bassani dovrà ringraziarlo a vita, quell’altro coglione. Un raduno di coglioni: mio fratello, Sartor e Bengala, capirai. I professionisti! Se questo è il professionismo, ringrazio il cielo di non essere tra loro. Ma a te non fa schifo questa storia?
• Non credo ci sia nessuna storia. E piantala di mettermi contro Tobia, piantatela tutti e due, non ne posso più di stare in mezzo. Siete patetici. Siete fratelli, fate lo stesso mestiere, potreste anche andare d’accordo se solo decideste di smussare gli angoli, è così difficile da capire?
• Ciao Cri, puoi avvertirlo che me ne vado. Di certo avranno spostato l’appuntamento perché io ho annunciato che sarei venuto qui. L’importante è dar fastidio. Non mi arrendo così facilmente.
• Io non avverto nessuno, Orlando!
Orlando chiude la comunicazione e sente in faccia il peso della solitudine sotto forma di vento freddo. Sugli occhi, sui capelli, sulla fronte, sulla testa. Una freddezza che lo investe, che non gli dà alcuna patente di appartenenza. E poco senso di esistenza, pochissimo.

Nathan si fa accompagnare dalle cugine al posto segreto, continuano a cantare “Xdono” da quando hanno imboccato la Pontina, una sorta di euforica ubriacatura senz’alcool. Clarissa ha indovinato il legame tra i due messaggi in un istante e ha guidato verso Roma nord, divertita dalla coincidenza tra Nathan ed Ernesto Nathan,

Fidel è stato aiutato dal padre a risolvere l’enigma, Eraldo era lì lì per accompagnarlo direttamente alla Piccola Londra per poi ripensarci, rabbuiarsi come a volte gli capita, stavolta un po’ più profondamente. Il figlio è convinto che sia perché per la prima volta dovranno allontanarsi l’uno dall’altro, non è mai successo e probabilmente la paura, adesso che il progetto sta per realizzarsi, sta avendo la meglio. La paura, l’emozione, un opaco senso del rimpianto, una difficoltà cupa.

Bengala parcheggia la moto e cerca un chiosco per comprare nove rose arancioni, una per ogni protagonista di DIC. La gioia e la positività, significato del colore scelto per le rose, vorrebbe che colpisse tutti come un fulmine, ha davvero voglia di godersela, di captare pienamente il senso dell’esperienza, la sua novità e si augura che ci sia un barlume di solidarietà, al di là dei ruoli e delle differenze.

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.