Dipinti in cerchi – trentaseiesima puntata

“L’inizio dev’essere qualcosa di forte. La diretta è fissata alle 16. Per i social e per le piattaforme tv. Durerà una mezz’ora. Loro non lo sanno ancora, non lo sapranno se non quando vedranno le lucine rosse sulle videocamere.”

Mentre guadagna il corridoio che lo porterà al teatro a salutare i protagonisti, si compiace ancora una volta del lavoro fatto da Michelangelo Bach e da installazioni che riescono a portare il contemporaneo nel passato, a metà tra visioni alla Leandro Erlich e sculture che ricordano Adolf Wildt. Nel foyer la prima che incrocia il suo sguardo, di ritorno dal trucco, è Martina Neva: il suo personaggio, Lydia Lopokova, la ballerina, è incarnato con una luce chiarissima negli occhi, uno chignon discreto e un abito bianco altrettanto semplice, con una stola celeste appena accennato:

“Ehi, complimenti!”
“Grazie…”
Martina Neva accenna un sorriso, tiratissimo, inquieto.
“Sei emozionata?”
“Molto, Jorge.”
“Direi atterrita.”
“Sì…”
“I tuoi son contenti?”
“Molto. Preoccupati, anche.”

Jorge cerca di indagare la luce nello sguardo, vede qualche lampo di emozione ad intervallare un’inquietudine gelida e sinistra.

“Devo andare in sartoria. Mi hanno già richiamata. A dopo, a presto.” e Martina Neva imbocca il corridoio buio che la conduce verso il retropalco.

Subito dopo sbucano dal corridoio semibuio che porta al foyer Bengala e Nathan, rispettivamente Morgan Forster e David Garnett:
“Ragazzi, buongiorno e in bocca al lupo, o, meno elegantemente, merda, come diciamo tutti.”

“Signor Carrasco, buongiorno.”
“Chiamatemi Jorge, non ci sono controindicazioni. Siete pronti? Forster e Garnett, giusto?”
“Giustissimo. Io sono veramente contento, volevo dirglielo. Non mi sento un ripescato, sto bene.”
“Certo che non sei un ripescato. Più che altro da oggi sei l’autore di “Passaggio in India” e di “Camera con vista”, giusto?”
“Giusto. E sono morto nel 1970.”
“Bravissimo.”
Ridono.
“Tu sei David, come te lo senti?”
“Lo sento bene. Lo sento mio. Non vedo l’ora.”
Sorrisi al posto delle risate, gratitudine, spinte emotive forti.
“Forza, allora! Si comincia.”
“Merda!”

La luce del foyer dove è stata allestita la sala del trucco e delle acconciature si fa più forte, Jorge riconosce il passo regale, la lentezza che riesce ad essere ad ogni modo risoluta e dinamica, la bellezza del movimento del corpo di Michelle:

“Finalmente!”
L’abbraccio è intenso e sembra mirare a far scricchiolare le vertebre di entrambi.
“Mi dispiace. Mi dispiace veramente tanto.”
“Lo so.”
“La vita ti dà questi calci che proprio…”
“Calci e pugni e bavagli al cuore. Non so come riesco a essere qui.”
“Perché sei Jorge Carrasco, non uno qualsiasi.”

“In questo momento mi sento solo un’assenza. Uno che ha perso tutto, che non ha identità.”
“Jorge, io sono qui solo per te. E tu hai un’identità talmente bella che nessun calcio te la toglierà.”

“Grazie. Ma in questo momento mi sembra una frase presa da una sceneggiatura comica, farsesca. Mi vedi, mi stai abbracciando, ma non ci sono. Non ci sono proprio e devo fingere con tutti il contrario.”
“Ti sarò vicino più che posso, stiamo per fare un progetto bellissimo, ti ricordi quanto ne abbiamo parlato?”

“Se sei felice mi aiuti.”
“Felice… anch’io ho tante cose da dirti. Posso dirtene subito una?”
“Certo.”

“Perché tra i personaggi non c’è Angelica Garnett, la figlia di David e Vanessa, quella ingannata con dolcezza?”
“Perché è successiva a buona parte degli eventi che raccontiamo, non mi andava di avere bambini tra i piedi. Ma verrà fuori alla fine.”
“Alla fine?”
“Sì.”

“E chi la interpreterà?”
“Non lo so ancora. Credo che questa cosa sia talmente grossa che non potrà esaurirsi in una stagione. Ci chiederanno di ripeterla. Non so se Angelica Garnett potrebbe essere la protagonista della stagione successiva”
“Non ci sarà nessuna seconda stagione, Jorge.”
“Perché?”
“Perché non c’entra nulla, non devono proprio chiedercela, deve essere un unicum. Noi abbiamo i nostri patti. Non pieghiamoli al volere di una produzione avida e sfruttatrice. Non ha alcun senso.”

“Vedremo. Abbiamo i nostri patti ma parliamone.”
“C’è poco da parlare. Angelica Garnett deve essere introdotta prima che finirà tutto.”
“Va bene, ne parlo con i writer.”
“Potrebbe farla Tessa. E’ brava e qui fa solo Violet che non mi sembra così centrale.”
“Beh, è un bel personaggio. Dai, vedremo. Stammi vicina.”
“Anche tu.”
“Merda”
“Merde”, con la r francese e un sorriso enigmatico, seppur emozionato e sincero.
Jorge entra nel foyer visibilmente scosso dopo l’abbraccio con Michelle e osserva Fidel che, seduto davanti a uno specchio, parla con una delle parrucchiere:
“Perfetto così. Sembri lui, guarda la foto. I capelli, la forma del viso.”

“E’ vero. Mi faccio paura da solo!”
“Fidel, non ricordo il cognome… Germi?”, Jorge lo fissa con il preciso intento di sorprenderlo.

“Risi. Fidel Risi. Piacere di conoscerla”, si gira tendendogli la mano.
“Come ti senti?”
“Eh… è difficile. Cioè, di solito le emozioni durano poco, quel tanto che basta per sopportarle. Qui invece sembra un crescendo”
“Ahahah… reggerai?”
“Certo. Certo che reggerò.”
“Ne sono certo. In bocca al lupo.”

“Viva il lupo.”
“No, evita. Certi riti sono incrollabili, non possono cambiare. Non ha senso cambiare la scaramanzia, aggiornarla, credimi.”
“Ok ok, crepi il lupo.” A Fidel sembra di aver sbagliato ogni singolo intervento della breve conversazione.

Da un altro specchio, seduto, mentre un ragazzo gli sta scorciando la barba, Tobia si accorge della presenza di Jorge:

“Ehi, Jorge! Non sapevo che ci saresti stato, ci speravo ma non osavo…”
“Sono qui, sono qui.”
“Vorrei alzarmi a salutarti ma siamo di fretta. Come stai?”
“Non preoccuparti. Sto come pensi. Ma ci sono.”
“Ed è bellissimo che tu ci sia, in ogni senso.”
“So che c’è stato qualche problema e me ne dispiace.”
“Beh, quando si ha la sfortuna di crescere con un mitomane invidioso accanto, accade.”
“So anche che hai fatto un po’ di capricci.”
“Nessun capriccio. Sono qui, anche io, come te.”
“E ne sei felice, sì?”
“Sono incline alla felicità da sempre. E sono possibilista. Vediamo, no?”
“Certo, vediamo.”
“Infatti.”

Il gioco di sguardi con lo specchio non li rende completamente veri, sembra che il film sia già cominciato e che il dialogo sia stato scritto da altri, anche il taglio di luce sembra finto, con mezzo volto di Jorge in ombra e mezzo in luce.
“E allora merda.”
“Merda.”

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.